Non si sa molto del monaco Damiano Tziru, poiché nel monastero condusse una vita ritirata. Nato nel dipartimento di Bacau, già nei suoi primi anni si mostrò molto pio. Di notte si chiudeva nella chiesa del villaggio e pregava sino al mattino. Trascorse il noviziato nel celebre monastero di Frasinei; successivamente in Moldavia, dove entrò nel piccolo monastero di Tibucani-Neamtz.
Il suo ardente bisogno di tranquillità e di vita ascetica lo condusse al santo luogo di Secu, abbastanza lontano dai rumori del mondo, là il padre Damiano condusse una vita di solitario, di monaco affermato e provato. Sempre solo, pensando incessantemente alla morte ed al giudizio fanale, recitava senza interruzione la preghiera di Gesù, digiunando e mortificando il suo corpo con l’obbedienza e le veglie. Obbedienza, preghiera continua, silenzio, astinenza, uno spirito puro e profondamente umile, queste furono le virtù fondamentali del padre Damiano. Come i monaci di un tempo, egli pensava piuttosto all’inferno che al paradiso e si teneva sempre pronto alla morte. Avendo ottenuto dal Signore il dono della pace e della preghiera continua, il padre Damiano si teneva lontano da tutto ciò che accadeva intorno a lui. Non sollevava neppure gli occhi per ammirare il cielo stellato.
Faceva il carpentiere e lavorava tutto il giorno nel laboratorio del monastero ed anzi lavorava parecchie ore durante la notte, senza che ne fosse obbligato, per mortificare il suo corpo. Si ritirava poi nella sua piccola cella e solo il suo discepolo aveva il diritto di fargli visita. Là il padre Damiano leggeva il Salterio, recitava la preghiera di Gesù oppure si sedeva per leggere il più spesso possibile le parole dei Padri della Chiesa. Il monaco Damiano non mancava mai all’ufficio di mezzanotte dopo di che riprendeva il suo programma nella cella: preghiere, letture, meditazioni sino verso l’alba, per dormire poi una o due ore. Ma non si mise mai a dormire su un letto dal giorno che rivestì l’abito monastico: il padre Damiano si riposava seduto su una sedia. In chiesa stava sempre dietro a tutti gli altri e soltanto in piedi. Alle volte si avvicinava al coro per ascoltare la lettura della vita del Santo del giorno ed i canti della Divina Liturgia con le lacrime agli occhi. Confessava spesso i suoi pensieri al suo padre spirituale e si comunicava ogni quindici giorni. Negli ultimi anni della vita, riceveva i Santi Misteri ogni settimana: una gioia celeste ed innocente inondava allora la sua anima ed il suo volto. Nel gennaio del 1964 il padre Damiano s’addormentò nelle braccia del Signore.
Una volta l’igumeno del monastero gli chiese: “Fratello Damiano, quando volete prendere l’abito monastico?”. – “Padre igumeno – gli rispose – io non sono venuto in monastero per diventare monaco di nome, ma per le mie azioni. Così, quando avrò compiuto le opere, pronunzierò i voti”.
Alle volte diceva al suo discepolo: “Padre Nicodemo, io non sono venuto qui per amore del monastero di Secu, ma per amore del deserto. E’ nel profondo delle foreste che io avrei voluto nascondermi per non vedere alcun uomo, ma solamente parlare a Dio e nutrirmi di erbe del deserto. Ma, poiché non sono ancora all’altezza di farlo ho preferito scegliere la vita in comune. Tuttavia io cerco di realizzare qui ciò che avrei dovuto compiere nella solitudine!”.
Un’altra volta il padre Damiano disse al suo discepolo: “Non c’è che una sola cosa che io desidero nel mio cuore”. Gli chiese il discepolo: – “Qual è, Padre Damiano?”. Rispose: – “Essere estraneo al mio popolo, come lo sarei tra gli abitanti di un’altra nazione. Non comprendere la lingua degli altri e che essi non comprendano la mia… Ecco quello che è difficile ai giorni nostri”.
Quando si sentiva pienamente in pace con se stesso, il padre Damiano diceva al suo discepolo: “Fratello mio, vorrei murare definitivamente la porta della mia cella. Non vi lascerei che una piccola finestra attraverso la quale parlare con un solo uomo sino alla fine della vita”. Gli chiese il discepolo: – “Ed a chi parlereste, padre Damiano?”. Rispose: – “Solo al mio confessore”.
Un’altra volta così si espresse: – “Per lunghi anni ho cercato un padre spirituale saggio. Ma non l’ho trovato. Allora ho cominciato a leggere la Sacra Scrittura ed ho trovato quello che cercavo”.
Il padre Damiano aveva l’abitudine di leggere molto durante la notte, particolarmente le opere di san Efrem Siro e san Giovanni Climaco. Leggeva anche i libri liturgici, il “Rituale, il “Triodion”, il “Pentecostarion”, l’“Oktoichos”. Una sera disse al suo discepolo: “Padre Nicodemo, la lettura dei libri santi mi riempie molto di gioia e di saggezza. Non vorrei separarmi mai da essi. La preghiera e la lettura sono la mia unica consolazione”.
Il padre Damiano non mangiava mai seduto, ma si limitava a prendere qualche boccone al suo banco di lavoro. Quando Nicodemo gli portava un po’ di cibo dal refettorio il vecchio gli diceva alle volte: “Tu non smetti mai di darmi da mangiare”. Quello però insisteva: – “Prendete, padre, e mangiate finché è caldo…” Ma, dopo aver mangiato qualche boccone nella sua officina di falegname, rispondeva: – “Si direbbe che qualcosa manchi a questo piatto, poiché non ha nessun gusto. Mettilo nell’armadio non so chi lo migliorerà, ma stasera sarà molto buono”. Ma al calar della notte, il padre non pensava più di cibarsi e Nicodemo riportava il piatto in cucina.
La cella di padre Damiano esiste ancora ai nostri giorni. Essa si apre sul meleto del monastero, ma mai alcuno l’ha visto cibarsi di una mela del giardino.
Il padre Damiano era stato designato ad occuparsi dell’alveare del monastero. Durante i cinque anni in cui attese a questa occupazione, non gustò il miele che una volta sola e questo avvenne quando gli fu affidato il compito di apicoltore.
Per vent’anni padre Damiano non accettò mai denaro da nessuno, cosicché non conosceva le monete. E se qualcuno voleva pagarlo per un lavoro di falegnameria, egli diceva severamente: “Portate via dalla falegnameria queste cose”.
Qualche volta, vedendolo ancora sveglio, il discepolo gli diceva: “Coricatevi, padre Damiano, voi siete stanco e vecchio”. Il padre allora rispondeva: – “Io non posso dormire, padre Nicodemo, il sonno m’ha abbandonato. Riesco appena ad assopirmi due o tre ore alla notte. Poi mi levo di nuovo per pregare, leggere e portare a compimento il mio canone penitenziale”.
L’igumeno del monastero disse un giorno a padre Damiano: “Vedete, tutti i confratelli escono ogni tanto dalle loro celle per ammirare la bellezza della natura, per ascoltare il canto degli uccelli, o per scambiarsi parole di saggezza. Solo voi, padre, non lasciate mai la cella e tenete gli occhi incessantemente rivolti a terra ed evitate il prossimo con tristezza”. – “Padre igumeno – gli rispose padre Damiano, – io ho il mio campo da sarchiare. E’ esso che mi fa vivere, mi aiuta a pagare i miei debiti ed a pagare la mia pigione ed il mio cibo. Infatti è proprio per questa ragione che sono venuto qui: pagare tutti i miei debiti! Come dunque potrei uscire per passeggiare finché non ho terminato di lavorare il mio campo?”.
Il suo discepolo gli pose questa, domanda: “Che direste, padre Damiano, se qualcuno venisse e vi costringesse a farvi prete?”. Rispose: – “Io lo inviterei ad uscire immediatamente dalla mia officina”.
Un giorno l’anziano disse al suo discepolo: “Se tu sei in buona salute e non ti stanchi, ciò significherà certamente che tu sei ugualmente un peccatore”.
Un altro giorno, il padre Damiano fece al suo discepolo una rivelazione: “Questa notte, padre Nicodemo, mentre leggevo il mio Salterio, ho sentito ridere i demoni nella mia cella. Allora ho cominciato a pregare piangendo a calde lacrime e non li ho più intesi”.
Una volta, siccome i reumatismi lo facevano soffrire, il discepolo gli disse: “Poiché siete così malato, padre, non volete sottoporvi ad una cura di bagni?”. Gli rispose: – “No, padre Nicodemo, la malattia è la conseguenza dei miei peccati. Se voglio sfuggire ai mali corporali i peccati rimangono in me. Perciò preferisco accettare pazientemente tutto ciò che Dio mi manda”.
Siccome padre Damiano si trovava a letto, il suo discepolo entrò nella sua cella e gli chiese: “Volete che io vi porti del thè o dell’acqua bollente?”. – “Che Dio vi ricompensi – rispose – per la vostra carità, padre Nicodemo, ma voi avete forse altri impegni”. L’indomani l’Anziano aggiunse: “Perdonatemi ciò che ho detto ieri. Non posso soffrire le chiacchiere. Se anche un angelo fosse venuto ieri nella mia cella, non mi sarebbe piaciuto parlargli.
Un monaco venuto da molto lontano per vedere il padre Damiano entrò nella sua falegnameria, dove egli lavorava, e gli parlò così: “Ho inteso parlare molto di voi, reverendo padre, e sono venuto a vedervi”. Allora l’umile monaco, magro e di piccola statura, si volse lentamente verso il visitatore e gli rispose: “Ebbene, m’avete visto?”, e riprese il suo lavoro.
Un’altro monaco gli domandò un giorno una parola di edificazione. Il vecchio gli rispose: “Un tempo il faraone impose ai Giudei maggior lavoro perché non avessero il tempo per pensare a Dio ed invocarlo. Ai nostri giorni c’è un faraone invisibile che incita i monaci a moltiplicare i loro beni, le loro preoccupazioni e le loro fatiche, affinché non abbiano il tempo di pregare il loro Dio notte e giorno così come hanno promesso di fare”.
Quando fu vecchio, il suo discepolo si informò: “Come vi sentite, padre Damiano?”. Rispose: – “Attendo dalla mia giovinezza che venga la morte. Non so veramente perché essa tarda tanto a farmi visita”. Gli disse il discepolo: – “Noi preghiamo Dio che vi conservi in vita”. Gli rispose: – “Eh, padre Nicodemo, quale dono prezioso è la morte! E quale maledizione per l’uomo sarebbe non morire. La terra diventerebbe per lui un inferno!”.
Da: I. Balan: “Vies des moines de Moldavie”, Chevetogne 1986. Trad. A. S.
In: “Messaggero Ortodosso”, Roma, maggio-agosto 1987, p. 17-33.