La vita del padre Vichentie si manifestò già dagli inizi come benedetta da Dio. Nel 1894 i suoi genitori ed i loro tre figli rinunciarono al mondo ed ai beni di questa terra ed andarono a servire il Cristo. Il figlio ed il padre partirono per l’Athos. Dopo dieci anni di noviziato trascorsi presso monaci provati, il futuro protosingelo ritornò al suo paese e si stabilì nel monastero di Secu. Nel 1912 egli prese l’abito monastico e tre anni dopo fu ordinato prete e designato come confessore. Ma non è facile parlare della sua vita monastica e delle prove alle quali si sottomise. Lo ieromonaco Vichentie si dimostrò dall’inizio come un penitente senza pietà nei propri riguardi: digiuno permanente, preghiera incessante e veglia notturna.
Egli non si asteneva soltanto dagli alimenti per tre giorni di seguito o durante i quattro periodi di digiuno dell’anno, ma anche ogni giorno, limitandosi a gustare qualche cucchiaio di ciò che c’era nei piatti. Nessuno sapeva quanto fossero rigorose le sue privazioni, poiché non toccava il cibo che per le insistenze dei novizi, dividendolo poi senza lasciar nulla per l’indomani. Un digiuno veramente reale e nascosto agli occhi degli uomini. Si può ben dire che padre Vichentie non s’è mai saziato a tavola. Al contrario nutriva giornalmente numerosi affamati, poveri e monaci erranti, poiché non ci fu alcun cenobita più misericordioso di lui in tutti i monasteri della Moldavia.
Non conservava nulla nella sua cella né riservava alcunché per se, poiché distribuiva tutto, cibo, denaro, vesti, biancheria, i regali che riceveva ed anche i suoi libri di preghiera. E quando non aveva più nulla, prendeva in prestito da quelli che avevano e dava generosamente a tutti; libero delle cose materiali, divenne il protettore dei diseredati e il consigliere, senza rivali, dei monaci e dei laici. Assieme all’elemosina, padre Vichentie distribuiva la gioia della sua anima, le sue parole di saggezza, la sua benedizione, le sue preghiere e tutto l’amore del suo cuore.
Il protosingelo Vichentie fu chiamato il padre della gioia e dell’amore nel Cristo, poiché sorrideva sempre a tutti, riceveva chiunque a lui si rivolgesse e non pregava mai senza versare lacrime. Ed è per questa ragione che molti malati guarirono grazie alle sue preghiere. Nella sua veste di padre spirituale e confessore, superò quasi tutti i monaci del suo tempo, riuscendo, come nessun altro, a cambiare la volontà e la vita interiore di quanti a lui si rivolgevano. Non imponeva penitenze severe, sebbene conducesse la vita di un asceta rigoroso. Per questo motivo era ricercato da tutti. Non si conformava ad alcun programma fisso, ma sempre era a disposizione del suo prossimo. E la notte, quando nessuno lo vedeva, pensava a se stesso sottoponendosi a dure prove.
La sua cella era una delle più spoglie. Non dormiva mai su un letto, né su una sedia, ma si riposava assopendosi in ginocchio. Praticava pure, con sommo impegno, la preghiera di Gesù, facendo sino a 1000 metanie, così come si segnava duemila volte nel corso della notte. Alle volte, quando i visitatori erano troppo numerosi, si nascondeva nella foresta per pregare.
Nel 1927 il monaco Vichentie fu nominato confessore del monastero di Agapia[4]. Dodici anni dopo partì, in qualità di missionario, nella provincia delle Banato[5] e rese la sua anima a Dio nell’estate del 1945, nel monastero di Basiova, pianto da migliaia di persone.
Nel 1953 le ossa di padre Vichentie furono traslate nel monastero di Secu; le sue mani furono trovate intatte.
Nel 1926, durante l’estate, il padre Vichentie, superiore del monastero di Secu, imbiancava con la calce la Chiesa. Un giorno alcune persone colte giunsero al monastero e chiesero ad un monaco: “Dove è il superiore del monastero? Desideriamo parlare con lui”. – “Eccolo lassù, sull’armatura. Sta restaurando la chiesa”, rispose il monaco. Vedendolo quelle persone esclamarono: – “È lui il superiore del monastero? Ebbene, andiamocene!”.
Un confratello, che aveva di recente vestito l’abito monastico, chiese al suo confessore ciò che dovesse fare per salvare l’anima; il padre Vichentie poiché era lui il prete, gli rispose: “Ascoltate, padre, cercate di fare tutto ciò che avete promesso e senza alcun dubbio vi salverete”. Quello replicò: – “Ma, reverendo padre, la professione monastica mi fa tremare di paura”. Il padre Vichentie gli disse: – “Non abbiate paura! Credete che avete ricevuto il Santo Spirito. Cominciate lavorando a poco a poco e andrete lontano. Cercate dapprima di avere la coscienza a posto, che nulla vi ispiri rimorsi al calare del sole. Mantenete la vostra mente libera da ogni cattivo pensiero, obbedite di buon animo e ripetete continuamente la preghiera di Gesù. Fate almeno questo ed io penso che vi salverete. Così, figlio mio, ascoltate ciò che vi dice il vostro padre, e non vi ingannerete. È in questo modo che si coltiva il campo dell’anima”.
Un’altro suo figlio spirituale gli chiese: –“Che cosa debbo fare per essere sicuro della salvezza?”. Gli disse il padre: – “Ecco: confessate il più spesso possibile i vostri peccati ed i vostri pensieri; rispettate fedelmente la regola ed il vostro canone penitenziale; recitate incessantemente la preghiera di Gesù; amate la solitudine in modo da essere preservato dal sentire, dal vedere, dal desiderare e dal criticare a torto o a ragione. Considerate tutti gli uomini come santi. Datevi la pena di fare tutto ciò e sarete vivo…”[6].
Alle volte padre Vichentie veniva invitato ad un banchetto funebre. Vi si recava di buon animo, recitava la preghiera e tutti gli invitati prendevano posto attorno alla tavola. Dopo aver inghiottito tre piccoli bocconi, ed aver appena accostato alle labbra il bicchiere del vino, diceva: “Dio sia lodato. Come ho mangiato bene! Che Dio perdoni il defunto!”. – “Ma restate e mangiate, padre”, gli dicevano per trattenerlo. Lui rispondeva: – “Quello che ho preso basta, scusatemi, io me ne vado, poiché il Cristo mi attende nella mia cella”. E se ne andava subito.
Una volta giunse da padre Vichentie un uomo molto turbato e gli disse: “Padre, il mio vicino non cessa di causarmi fastidi. Io non lo posso sopportare più. Ditemi quel che io debbo fare. Gli disse il padre: – “Fratello mio, ascolta questo consiglio. Non turbare inutilmente il tuo prossimo, poiché non è colpa sua, ma del demonio. Non spezzare il legame d’amore, che è la cosa più preziosa al mondo”.
Quando fu confessore al monastero di Agapia, le monache venivano alle volte da padre Vichentie per chiedergli consiglio. Un giorno esse gli dissero: “Reverendo padre, dei conoscenti, dei laici sono venuti a trovarci. Ci e permesso di ospitarli?”. Il padre disse all’igumena: – “Madre mia, ascoltate il consiglio di padre Vichentie. Non ricevete, neppure per un ora, dei laici nella vostra cella, ma soltanto nell’appartamento riservato ai visitatori del monastero. La cella è la chiesa del monaco, essa è un luogo di lacrime e di prove, una camera segreta dove si incontra il Cristo tramite la preghiera. Ma i laici mettono in fuga le lacrime del cenobita, poiché spengono la luce della preghiera segreta. Le chiacchiere con la gente di questo mondo turbano la mente ed allontanano il Cristo dal cuore del monaco”.
Il padre Vichentie dava in elemosina tutto ciò che possedeva, anche la camicia che portava, le scarpe ed il suo abito. Quando era privo di tutto, faceva attendere la gente nel monastero e correva dalle monache, bussava alla loro porta e pregava: “Madre, il Cristo è da me e non ho di che fargli la carità. Prestatemi, per favore, cento Lei[7] e quando riceverò il salario di questo mese, ve li renderò…”. L’igumena: – “Tenete, ecco cento Lei, padre mio: io li avevo ricevuti per acquistare vestiti”. Ma alla fine del mese, padre Vichentie non riusciva a pagare i suoi debiti, poiché prendeva in prestito sul suo salario sino al triplo del compenso mensile. Le monache, vedendo quanto grande fosse la sua carità, rinunciavano al denaro che era loro dovuto, e dicevano: “Padre Vichentie, non restituiteci i Lei; anche noi vogliamo fare la carità al Cristo”.
Spesso padre Vichentie ripeteva queste parole: “Ascoltate, padri, se voi ricevete oggi qualche cosa, dovete dividere ciò che avete ricevuto. Non conservate nulla per l’indomani né denaro, né pane, né due abiti, poiché il Cristo avrà cura di voi anche domani.
Prima che padre Vichentie partisse per il Banato, vennero da lui due discepoli fedeli e, con le lacrime agli occhi, gli dissero: “Reverendo padre, voi ci lasciate e non ci rivedremo più sulla terra. Diteci un’ultima parola di saluto”. Allora, posando una mano sul capo di uno dei suoi visitatori e battendo leggermente con l’altra il tavolo, padre Vichentie disse: “Ascoltate, padre Cleofas, ascoltate ciò che vi dice l’Anziano; ecco la mia ultima parola: pazienza, pazienza! E quando vi sembrerà che l’avrete perduta, ricominciate da bel principio. Ancora una volta: pazienza, pazienza, pazienza! Ed in seguito ricominciate da capo”. Ancora gli chiesero: – “Ma fin quando, padre Vichentie, bisogna avere pazienza?”.
Rispose: – “Ascoltate, padre Cleofas: sino alla soglia della tomba! E successivamente, figlio mio caro, andremo lassù, nel giardino dell’Eden. Giacché là gli uccelli cantano meravigliosamente, ci sono alberi fioriti e frutti d’oro sui campi eternamente in fiore, non lontano da sorgenti di acqua limpida… E tutto è bello e buono lassù… noi sentiremo il canto degli angeli e lì vedremo le schiere dei giusti e saremo per sempre con il Signore. È allora soltanto che avremo lasciato per sempre questa valle di lacrime e di tentazioni. E’ là che, fratelli miei, ci ritroveremo…”.

Da: I. Balan: “Vies des moines de Moldavie”, Chevetogne 1986. Trad. A. S.
In: “Messaggero Ortodosso”, Roma, maggio-agosto 1987, p. 17-33.
Il monastero di Secu è ubicato nella contea di Neamt, ai piedi delle montagne di Stanisoara, sulla sponda del fiume di Secu. Fu fondato nel 1602.
[4] Dista 45 chilometri da Piatra Neamt, nella depressione di Neamt. Il nome del monastero deriva dall’eremita Agapia che inizialmente costruì un eremitaggio di legno nel luogo chiamato “frutteto dei genitori” verso la fine del quattordicesimo secolo (il Vecchio Agapia). Il nuovo monastero di Agapia è stato costruito durante il XVI secolo dall’abate Gavriil, il fratello di Vasile Lupu, il reggente di quel tempo.
[5] Regione situata nel cuore della penisola balcanica, tra la Romania occidentale e la Serbia nordorientale.
[6] Cfr. Apoftegmata Patrum, Antonio.