p. Agapie Corbu: Poesia liturgica e rigore dogmatico nella Domenica dell’Ortodossia

Per i pellegrini della Grande Quaresima, il cui scopo è la gloriosa Risurrezione, la Chiesa ha stabilito nelle prime cinque domeniche altrettante feste, i cui significati e la cui importanza non saranno mai sufficientemente sottolineati. La consapevolezza, l’assimilazione e la vita concreta di questi significati determineranno l’altezza spirituale con cui ciascuno concluderà il proprio pellegrinaggio verso la Risurrezione, così come il pellegrinaggio della vita sulla terra.

L’11 marzo 843, il Patriarca Metodio di Costantinopoli organizzò, per la prima volta, la celebrazione solenne della retta fede nella prima domenica della Grande Quaresima. Si commemorava, in realtà, la vittoria dell’insegnamento ortodosso riguardo alla venerazione delle sante icone, in cui si sintetizzava l’intera dottrina della Chiesa. In questa occasione, il Patriarca Metodio compose anche un testo che raccoglieva le anatematizzazioni dei concili ecumenici pronunciate contro i vari eretici, nonché lodi rivolte ai grandi difensori della retta fede. Il testo del Sinodicon veniva letto con le stesse formule introduttive del Vangelo, e il popolo rispondeva con acclamazioni: “Sia anatema!” o “Memoria eterna!”, a seconda che fossero menzionati eretici o difensori dell’Ortodossia. A questo testo furono successivamente aggiunte, fino al XIV secolo, altre anatematizzazioni sinodali e acclamazioni, e ancora oggi esso viene letto in questa domenica, dopo il Mattutino, quando si svolge anche una processione con le sante icone, durante la quale si canta il canone composto da San Teodoro Studita.

Oltre alla commemorazione dell’evento storico della vittoria dell’Ortodossia, il fatto che la celebrazione liturgica della retta fede sia unita alla lettura del Sinodicon dell’Ortodossia costituisce una buona occasione per valutare la misura della propria ortodossia. La Chiesa, essendo il corpo di Cristo – la Verità – è l’incarnazione di questa Verità nel mondo creato. Una parte di questa Verità è stata racchiusa nei dogmi e nelle definizioni conciliari, che per noi rappresentano punti di riferimento nel cammino verso l’unione con la Verità piena, Gesù Cristo. Ecco perché un insegnamento errato, l’eresia, si frappone al nostro avanzare verso il Signore, ci offre una comprensione distorta di Lui e ci allontana dal sentiero del Regno.

Partendo dall’evento storico della restaurazione del culto delle icone, la Chiesa ci apre in realtà un orizzonte ben più ampio: quello del mistero della retta fede. Un mistero che supera infinitamente tutto ciò che è stato espresso sotto forma di dogma e che è una realtà alla quale possiamo accostarci nella sua pienezza solo liturgicamente e mediante la preghiera. Ecco perché, proprio perché eccede la capacità del linguaggio umano di esprimere la verità della Chiesa, il mistero della retta fede ci è oggi offerto alla contemplazione in un intreccio di liturgia, spiritualità filocalica e parola dogmatica.

Abbiamo, da un lato, nella celebrazione della Domenica dell’Ortodossia, una serie di preghiere e inni in cui il Signore è lodato e Gli si rende grazie per il luminoso dono della retta fede fatto alla Chiesa; dall’altro, si leggono anche le anatematizzazioni del Sinodicon, rigorosamente formulate, espressioni culminanti del pensiero dogmatico conciliare.

Di fronte a questa duplice apertura, il cristiano è oggi chiamato a prestare attenzione e a far propria una visione e uno spirito, affinché l’ascesi della Grande Quaresima raggiunga il suo scopo. Un primo elemento di questa visione è l’intreccio tra ortodossia e vita liturgico-ascetica. Uno scrittore bizantino filocalico dell’XI secolo, Elia Ecdico, inizia la sua opera subordinando l’intero cammino ascetico alla premessa della retta fede. E San Gregorio di Nissa, in una lettera indirizzata a coloro che dubitavano della sua ortodossia, afferma questa unità dicendo: “Avendo dunque questa certezza (della retta fede), ci battezziamo come ci è stato comandato, crediamo come ci battesiamo e glorifichiamo Dio secondo la nostra fede, affinché il battesimo, la fede e la glorificazione siano all’unisono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo”. Lo stesso grande Santo Padre ci chiarisce dicendo che “il fondamento e la radice della fede retta e sana è il mistero della pietà trasmesso dal Signore ai Suoi discepoli”.

L’apostolo Paolo chiama questo mistero anche “il buon deposito”, la cui custodia può avvenire “solo con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (2 Timoteo 1,14), proprio perché è un mistero. Per questo motivo, l’espressione con cui i Padri conciliari iniziavano i testi delle loro decisioni, ovvero: “È sembrato bene allo Spirito Santo e a noi”, non è una semplice formula di circostanza.

Questo “mistero della pietà” è il fuoco della Pentecoste, inviato da Cristo sugli Apostoli. È il nucleo incandescente e increato dell’Ortodossia, che riceviamo liturgicamente e sacramentalmente nel Battesimo, nell’Eucaristia, nel mistero del Matrimonio, nella tonsura monastica, lo rinnoviamo attraverso il pentimento e lo contempliamo in tutto ciò che la nostra madre, la Chiesa, ci offre. Scintille di questo fuoco della Pentecoste sono catturate nelle parole dei Santi Padri portatori di Dio, che ci hanno trasmesso le loro definizioni dogmatiche come nidi di luce increata. Solo dimorando in questi nidi, come piccoli uccelli, potremo essere nutriti e, un giorno, spiccare il volo verso l’origine da cui essi traggono la loro linfa: la Pentecoste e la Santa Risurrezione.

Ogni domenica della Grande Quaresima ci invita, attraverso la commemorazione che celebra, a un distacco da noi stessi per discernere in quale misura l’evento celebrato si rifletta nella nostra vita e nelle nostre ricerche spirituali. Vi è nascosta un’opera di purificazione del nostro uomo interiore, della nostra mente dalle “vuote sapienze di questo mondo”, come preparazione all’acquisizione della mente dei Padri, della mente di Cristo. Ecco perché questa domenica ci rivolge un pressante invito a vagliare le nostre convinzioni e ci chiama, all’inizio del digiuno, a una piena separazione interiore da tutto ciò che appare ortodosso ma non lo è, da tutto ciò che non conduce al “mistero della pietà”, al fuoco della Pentecoste, alla Risurrezione di Cristo. San Nettario di Egina, nella sua Storia dei Concili Ecumenici, afferma che lo scopo di queste assemblee fu quello di custodire, attraverso decisioni dogmatiche e canoniche, il vero spirito del Vangelo e della Chiesa contro le deformazioni introdotte dagli eretici. L’eresia non è dunque soltanto un insegnamento erroneo, ma anche un’alterazione, una deformazione dello spirito della Chiesa e della sua esperienza spirituale, che genera una falsa spiritualità.

Per questo, nella Domenica dell’Ortodossia, la Chiesa intreccia per i suoi figli un dono composto dalla poesia liturgica dei canti del Triodion (poesia che include anche le icone, i canti e ogni forma di “arte liturgica” nella Chiesa) e dalla rigorosità dogmatica del Sinodicon, penetrando l’anima del fedele con la bellezza filocalica e la severità patristica. L’assenza del Sinodicon dell’Ortodossia nelle edizioni finora pubblicate del Triodion romeno è certamente una lacuna che richiede urgente colmatura, poiché il popolo che invoca il nome del Signore nella lingua romena – come ci chiama San Montano, il Martire e Presbitero – non merita tale ingiustizia.

A quanto detto, aggiungiamo una conclusione: la bellezza filocalica e liturgica, priva della severità dogmatica, sfocia in un sentimentalismo mieloso e pietista, mentre la rigorosità dogmatica, se separata dalla dimensione liturgico-filocalica, finisce in un arido intellettualismo e fanatismo. Il significato profondo della prima domenica della Quaresima emerge proprio dall’armonioso intreccio tra la poesia liturgica e la severità dogmatica ed è, in definitiva, una verità che per essere compresa deve essere assimilata asceticamente e vissuta spiritualmente: essere ortodossi significa divenire gradualmente una cosa sola con il mistero di fuoco e di luce della Chiesa, da cui scaturiscono e a cui conducono i suoi dogmi, viaggiando, in uno sforzo costante e filocalico, verso la Risurrezione.

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