NASCITA E FAMIGLIA
San Porfirio nacque il 7 febbraio 1906 nel villaggio di San Giovanni di Karistia, nell’isola di Evia, in Grecia. Al battesimo ricevette il nome di Evangelos Bairaktaris. I suoi genitori, Leonida ed Eleni, erano contadini poveri ma profondamente devoti. Il padre, cantore del villaggio, ebbe il privilegio di accompagnare frequentemente San Nectario di Egina durante i suoi viaggi nella regione.
La famiglia affrontava gravi difficoltà economiche, così il piccolo Evangelos iniziò a lavorare all’età di otto anni, prima in una miniera di carbone, poi in un negozio di alimentari a Chalkida e infine al Pireo.
LA CHIAMATA MONASTICA
Fin dalla tenera età, Evangelos mostrò un’attrazione verso la vita monastica. Da bambino, mentre pascolava le pecore o lavorava nel negozio, leggeva lentamente la vita di San Giovanni Kalivita, desiderando ardentemente imitarlo.
A dodici o tredici anni, avendo completato appena la seconda classe della scuola elementare, partì per il Monte Athos con il desiderio di seguire le orme del santo la cui vita aveva tanto amato. Durante il viaggio in traghetto da Salonicco al Monte Athos, incontrò provvidenzialmente quello che sarebbe diventato il suo padre spirituale, l’ieromonaco Panteleimon, che lo prese sotto la sua protezione.
LA VITA AL MONTE ATHOS
Giunse così nello Skiti della Santa Trinità di Kavsokalyvia, appartenente al Grande Monastero della Lavra, dove visse per quasi sei anni nella cella di San Giorgio, sotto la guida di due rigorosi anziani: gli ieromonaci Panteleimon e Ioannikios, fratelli carnali.
Il giovane monaco abbracciò la vita ascetica con zelo straordinario. Camminava scalzo sui sentieri rocciosi e innevati del Monte Athos, dormiva pochissimo su una sola coperta sul pavimento anche con la finestra aperta durante le nevicate. Di notte faceva numerose prostrazioni, denudandosi fino alla vita perché il sonno non lo vincesse. Lavorava intagliando il legno o all’esterno, tagliando alberi, raccogliendo lumache o trasportando sacchi di terra sulle spalle per lunghe distanze, affinché si potesse creare un giardino sul terreno roccioso vicino alla cella di San Giorgio.
Si immerse nelle preghiere, nei servizi liturgici e negli inni della Chiesa, imparandoli a memoria mentre lavorava con le mani. Dalla continua ripetizione del Vangelo e dall’averlo appreso a memoria, divenne incapace di avere pensieri non buoni o oziosi.
A soli quattordici anni fu tonsurato monaco con il nome di Nikita, in onore dell’anziano monaco Nikita che aveva condotto vita ascetica nel XIX secolo. Dopo due anni ricevette il Grande Schema.
LA VISITA DELLO SPIRITO SANTO
Un’alba memorabile segnò per sempre la sua vita spirituale. Mentre attendeva nell’ingresso della chiesa principale di Kavsokalyvia, non notato dall’anziano monaco Dimas, un ex ufficiale russo ultranovantenne, monaco asceta e santo nascosto, il giovane Nikita lo vide fare prostrazioni complete davanti alle porte chiuse della chiesa. La grazia divina che traboccava dal santo anziano Dimas si riversò sul giovane monaco, che era pronto a riceverla.
Dopo questa visitazione dello Spirito Santo, avvenne un cambiamento fondamentale nella costituzione psicosomatica del giovane monaco. Acquisì doni soprannaturali e fu rivestito di potenza dall’alto. Il primo segno di questi doni fu la capacità di “vedere” i suoi anziani che ritornavano da un lungo viaggio, anche se erano lontanissimi dalla vista umana. Padre Panteleimon gli consigliò di essere molto cauto riguardo a questo dono e di non dirlo a nessuno.
La sua sensibilità verso le cose intorno a lui divenne acutissima. Poteva vedere nelle profondità della terra e negli spazi lontani, attraverso l’acqua e le formazioni rocciose. Vedeva giacimenti di petrolio, radioattività, monumenti antichi sepolti, tombe nascoste, crepacci nelle profondità della terra, sorgenti sotterranee, icone smarrite, scene di eventi accaduti secoli prima, preghiere elevate nel passato, spiriti buoni e cattivi, l’anima umana stessa. Ma non usò mai questi doni per trarne vantaggio personale.
IL RITORNO NEL MONDO
A diciannove anni, una grave pleurite lo costrinse, con la benedizione dei suoi anziani, a lasciare il Monte Athos e stabilirsi nel monastero di San Caralampo a Lefka, vicino al suo villaggio natale in Evia. Continuò il regime che aveva appreso sul Monte Athos, anche se fu costretto a moderare i suoi digiuni fino al miglioramento della sua salute.
L’ORDINAZIONE SACERDOTALE
Nel 1926 incontrò l’arcivescovo del Sinai, Porfirio III, ospite del monastero. Riconoscendo le virtù e i doni divini del giovane monaco, il 26 luglio 1927, festa di Santa Parasceve, lo ordinò diacono, e il giorno successivo, festa di San Panteleimon, lo elevò al sacerdozio dandogli il nome di Porfirio. Il metropolita locale di Karistia, Panteleimon Fostinis, gli affidò subito il ministero di confessore. Aveva solo ventuno anni.
IL MINISTERO PASTORALE
Per dodici anni servì principalmente come confessore, prima al monastero di San Caralampo e poi, quando questo divenne convento femminile nel 1938, al monastero di San Nicola ad Ano Bateia, nell’attuale comune di Amarinthos in Evia. Nello stesso anno fu elevato al rango di Archimandrita.
La sua fama di padre spirituale, conoscitore delle anime e guida sicura, si diffuse rapidamente. Riceveva grandi numeri di fedeli in confessione ogni giorno, a volte per ore senza sosta. Con il dono del discernimento scopriva le insidie del diavolo e salvava le anime dalle sue trappole.
NEL DESERTO DELLA CITTÀ
Nel 1940, poco prima che la tempesta della Seconda Guerra Mondiale colpisse la Grecia, San Porfirio si stabilì ad Atene. Il 12 ottobre fu nominato sacerdote e confessore alla cappella di San Gerasimo presso la Policlinica di Atene, vicino a piazza Omonia, nel centro della città. Egli stesso aveva richiesto questo incarico per il suo amore compassionevole verso i sofferenti, volendo essere loro vicino nei momenti più difficili.
Servì la Policlinica come cappellano per trentatré anni, che per lui passarono come un solo giorno, consolando e pacificando con il suo epitrachilion innumerevoli anime in difficoltà. Come testimoniava lui stesso: “Nella folla, nel mondo e nel rumore di Omonia, alzavo le mie mani a Dio e vivevo dentro di me come nel deserto del Monte Athos. Amavo tutti, per tutti soffri vo…”.
Contemporaneamente, per provvedere ai bisogni dei suoi genitori e di alcuni parenti stretti di cui si occupava, lavorava manualmente in un allevamento di pollame, in un laboratorio di maglieria e in uno di preparazione dell’incenso.
IL MONASTERO DELLA TRASFIGURAZIONE
Nel 1970 si pensionò dalla Policlinica, stabilendosi definitivamente nel 1973 al monastero di San Nicola a Kallisia, in Attica, dove già risiedeva dal 1955, coltivando con grande cura il terreno agricolo circostante.
Nel 1978 fondò a Tourkovounia di Atene, in una modesta casetta di pietra che era stata la sua abitazione dal 1948, il monastero femminile della Trasfigurazione del Salvatore, riconosciuto ufficialmente nel 1981. All’inizio degli anni ’80 si trasferì a Milesi, in Malakasa, dove istituì un metochion del monastero. Visse inizialmente in una roulotte e poi in una semplice cella di mattoni, affrontando condizioni difficili e soffrendo pazientemente per i molti problemi di salute.
Il 26 febbraio 1990, con la posa della prima pietra della chiesa del monastero della Trasfigurazione, si realizzò uno dei desideri più cari del santo.
LE SOFFERENZE E LA CECITÀ
Oltre alla malattia che lo aveva costretto a lasciare il Monte Athos, San Porfirio soffrì di molte altre infermità. Subì un infarto nel 1978 e, dopo un intervento all’occhio sinistro mal riuscito, divenne completamente cieco nel 1987. Un’iniezione di cortisone data senza il suo permesso gli causò emorragie gastriche continue che si ripresentavano ogni tre mesi circa. A causa dello stomaco costantemente sanguinante non poteva mangiare cibo normale, sostenendosi con pochi cucchiai di latte e acqua al giorno. Ricevette dodici trasfusioni di sangue.
Nonostante queste tremende sofferenze fisiche, continuò il suo ministero di padre spirituale quanto poteva, diminuendo le parole di consiglio e aumentando le preghiere a Dio per coloro che cercavano il suo aiuto. Divenne un chiaro esempio delle parole di San Paolo: “La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza”.
IL RITORNO A KAVSOKALYVIA
Nel 1984, su sua richiesta, il Grande Monastero della Lavra gli concesse la cella di San Giorgio a Kavsokalyvia, dove era stato tonsurato monaco. San Porfirio non aveva mai lasciato emotivamente il Monte Athos. Da anni desiderava tornare al luogo della sua metanoia, dove era nato spiritualmente, per morire là dove aveva pronunciato i suoi voti monastici sessant’anni prima.
Nell’estate del 1991, alla vigilia della festa della Santa Trinità, dopo essere andato ad Atene a confessarsi dal suo anzianissimo padre spirituale, partì per la sua cella sul Monte Athos con l’intenzione nascosta di non tornare mai più. Si stabilì e attese la fine, preparato a rendere buona difesa davanti a Dio.
Dettò una lettera d’addio di consiglio e perdono a tutti i suoi figli spirituali, datata 4 giugno (calendario antico), trovata tra gli abiti monastici preparati per il suo funerale il giorno della sua morte.
Fu costretto due volte a tornare brevemente al convento di Atene per dare consolazione a chi ne aveva bisogno, ma poi si affrettò a tornare sul Monte Athos il più rapidamente possibile. Desiderava ardentemente morire là e essere sepolto in silenzio in mezzo alla preghiera e alla penitenza.
IL RIPOSO NEL SIGNORE
Dio, che è tutto buono e che compie i desideri di coloro che Lo temono, esaudì il desiderio di San Porfirio. Lo rese degno di avere una fine benedetta in estrema umiltà e oscurità, circondato solo dai suoi discepoli sul Monte Athos che pregavano con lui.
Nell’ultima notte della sua vita terrena si confessò e pregò noeticamente. I suoi discepoli lessero il Salmo Cinquanta e altri salmi e l’ufficio per i moribondi, recitando la breve preghiera “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me” fino a completare la regola di un monaco del Grande Schema.
Per lungo tempo si potevano sentire le sue sante labbra sussurrare le ultime parole che uscivano dalla sua venerabile bocca: le stesse parole che Cristo pregò alla vigilia della sua crocifissione, “che siano una cosa sola”.
Dopo di ciò lo sentirono ripetere una sola parola, quella che si trova alla fine del Nuovo Testamento, alla conclusione dell’Apocalisse di San Giovanni: “Vieni” (“Sì, vieni, Signore Gesù”).
Il Signore, il suo dolce Gesù, venne. La santa anima di San Porfirio lasciò il suo corpo alle 4:31 del mattino del 2 dicembre 1991 e viaggiò verso il cielo.
Il suo venerabile corpo, vestito alla maniera monastica, fu posto nella chiesa principale di Kavsokalyvia. Secondo la consuetudine, i padri leggero il Vangelo tutto il giorno e durante la notte tennero una veglia notturna. Tutto fu fatto secondo le dettagliate istruzioni verbali di San Porfirio, che erano state trascritte per evitare errori.
All’alba del 3 dicembre 1991, la terra coprì le venerabili spoglie del santo anziano alla presenza dei pochi monaci del santo skiti di Kavsokalyvia. Solo allora, secondo i suoi desideri, fu annunciato il suo riposo.
Sulla croce posta sulla semplice tomba di terra, era scritto: “Ieromonaco Porfirio. Addormentato nel Signore il 19 novembre 1991” (secondo il calendario aghiorita).
LA CANONIZZAZIONE
Ventidue anni dopo, il 27 novembre 2013, il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico, sotto la guida del Patriarca Ecumenico Bartolomeo, procedette alla canonizzazione di San Porfirio, iscrivendo il suo nome nel Calendario della Chiesa Ortodossa, evento che produsse grande gioia a tutti i fedeli in tutta la terra.
CARATTERISTICHE SPIRITUALI
La caratteristica principale di San Porfirio durante tutta la sua vita fu la sua completa umiltà, accompagnata da obbedienza assoluta, amore caloroso e pazienza senza lamentele nelle sofferenze insopportabili. Era noto per la sua saggia discrezione, il discernimento inconcepibile, l’amore sconfinato per l’apprendimento, la straordinaria conoscenza (dono molto più da Dio che dalla sua inesistente istruzione mondana), l’amore inesauribile per il duro lavoro e la preghiera continua, umile e per questo efficace.
Il santo insegnava che l’elemento fondamentale della vita spirituale in Cristo è l’unità in Cristo: il senso di identificarsi con il fratello, di portare i pesi gli uni degli altri, di vivere per gli altri come viviamo per noi stessi. Le sue ultime parole, la sua ultima supplica a Dio, il suo più grande desiderio fu che “diventiamo una cosa sola”.
Santo Porfirio di Kavsokalyvia, prega Dio per noi!
