L’ieromonaco Daniele fu un grande esicasta della sua generazione e imitatore del venerabile Pietro l’Atonita – il primo e più grande esicasta dell’Athos. Padre Daniele si esercitò nello stesso luogo in cui visse il venerabile Pietro. Il luogo e l’anno della sua nascita, così come la sua vita prima di diventare monaco, rimangono sconosciuti. La sua esistenza fu estremamente nascosta, e conosciamo soltanto alcuni episodi della sua biografia ascetica.
Un giorno un anziano mandò il suo discepolo a confessarsi da padre Daniele. Il discepolo si avvicinò alla cella, bussò alla porta e disse: «Per le preghiere dei nostri santi padri…» – ma non ricevette alcuna risposta. Allora guardò attraverso la finestrella della chiesa e vide padre Daniele in ginocchio sotto il polieleo (il grande lampadario che si trova in mezzo alla chiesa), immerso nella preghiera e avvolto da una fiamma ardente. Il discepolo, spaventato, corse indietro dal suo anziano gridando: «Padre, l’anziano brucia!» Quando insieme giunsero alla cella di San Pietro, vi trovarono il “solito” padre Daniele – silenzioso, pacifico.

Padre Daniele prese con sé un discepolo, lo tonsurò monaco e gli diede il nome Antonio in onore del proprio anziano. Un giorno quel discepolo si ammalò e andò nella Grande Lavra, dove rimase fino alla guarigione. In quel tempo, durante le Liturgie celebrate da padre Daniele, cantava un altro monaco vicino di cella. Di solito l’anziano in solitudine compiva le preghiere d’ingresso e la protesi (preparazione dei doni). A un’ora stabilita arrivava quel monaco e insieme iniziavano la Divina Liturgia. Un giorno, dopo aver celebrato la protesi, il confratello non si presentò, e padre Daniele comprese che era accaduto qualcosa. Afflitto, pregava senza sapere che cosa fare. In quel momento entrarono in chiesa tre monaci, si inchinarono davanti alle icone, e padre Daniele, colmo di gioia, iniziò con loro la Divina Liturgia: i tre cantavano. Terminata la Liturgia, padre Daniele, volendo chiarire il suo stupore, chiese loro chi fossero e come mai si trovassero, di notte, in un luogo così deserto e montuoso. «Noi siamo i ktitori (fondatori) del monastero di Iviron e il Signore ci ha inviati» – risposero, e subito diventarono invisibili. Questo sacerdote benedetto dall’Alto, oltre a tutto il resto, comunicava la Santa Eucarestia anche agli “asceti nudi-invisibili” che dimoravano in quelle contrade eremitiche.
Da padre Daniele si recava spesso anche il celebre anziano Giuseppe l’Esicasta, che abitava a tre ore di cammino da lui. Egli, insieme al suo compagno d’ascesi, l’anziano Arsenio, veniva a pregare durante la Divina Liturgia e a comunicarsi ai Santi Misteri di Cristo.
L’anziano Giuseppe affermava che tra tutti gli asceti che aveva conosciuto – e in quei tempi il deserto era popolato da molti uomini virtuosi – padre Daniele era superiore a molti:
«C’era un altro, ancor più meraviglioso asceta, presso la cella di San Pietro l’Atonita – padre Daniele, imitatore di Arsenio il Grande. Estremamente silenzioso, recluso, fino alla fine dei suoi giorni celebrava la Liturgia. Per sessant’anni non pensò neppure un giorno di abbandonare il divino servizio. E durante la Grande Quaresima celebrava ogni giorno le Liturgie dei Presantificati. Non si ammalò mai fino agli ultimi giorni, e morì in profonda vecchiaia. La sua Liturgia durava sempre tre ore e mezza o quattro, perché non riusciva, per la commozione, a pronunciare i dialoghi liturgici. Le lacrime gli bagnavano continuamente la terra davanti a sé. Perciò non voleva che estranei assistessero alla sua Liturgia e vedessero il suo operare. Ma me, poiché lo supplicavo ardentemente, mi accoglieva. Ogni volta che andavo da lui, dopo tre ore di cammino notturno per assistere a quel terribile e veramente Divino spettacolo, mi rivolgeva una o due parole, uscendo dall’altare, e subito si ritirava fino al giorno dopo. Fino alla fine della vita compì la preghiera del cuore e la veglia notturna. Da lui appresi la regola e ricevetti grandissimo profitto. Mangiava venticinque drammi (circa 80 grammi) di pane al giorno e durante la Liturgia si elevava tutto verso l’alto. E finché la terra sotto i suoi piedi non diventava fango, egli non terminava la Liturgia».
L’anziano Giuseppe l’Esicasta, insieme all’anziano Arsenio, in segno di gratitudine verso padre Daniele, lo aiutava nei lavori della cella, costruendo ad esempio una terrazza in pietra.
Oltre a padre Antonio, presso la cella dell’anziano Daniele vi era anche un altro discepolo – padre Pietro, chiamato anche Petrakis. Anch’egli imitava lo stile di vita esicasta del suo anziano, cercava di copiarlo nelle lotte ascetiche e di rinunciare in tutto alla propria volontà davanti a lui.
Sentendo che i suoi giorni erano al termine e che la sua fine si avvicinava, padre Daniele indossò la rason (una forma di tonaca con maniche larghe) e cominciò a camminare nel cortile della sua cella. Alzò lo sguardo al cielo, poi volse gli occhi tutt’attorno e sospirando disse: «Oh vanità delle vanità, tutto è vanità». Quello stesso giorno, dopo aver celebrato la Divina Liturgia, si addormentò nel Signore.
L’anziano Daniele passò alla vita eterna serenamente, senza malattie, sazio di giorni, arricchito di virtù e di grazia divina. Ciò avvenne nel 1929.
La sua benedizione e le sue preghiere siano con noi. Amen.
Fonte: «Новый Афонский патерик», том I. (Il Nuovo Paterickon Atonita, tomo I.)
