Come ho imparato ad amare la Madre di Dio

Joel J. Miller


Per la prima volta ho compreso la Madre di Dio in un Venerdì Santo, alcuni anni fa.

Durante la solenne funzione della notte del Grande Venerdì, così come è chiamato nella Chiesa Ortodossa, si cantano numerosi canti funebri, uno dopo l’altro. Ero lì, nella chiesa oscurata, al centro della quale si trovava un’icona ricamata del Salvatore crocifisso, mentre i cantori e l’assemblea esprimevano il mistero della Passione del Signore attraverso canti gravi e solenni. Come poteva essere possibile che il Signore della Vita morisse? E a che scopo?

Stavo seduto e ascoltavo i versi funebri, e molti di essi si riferivano al dolore di Maria, la Madre di Dio, e la mia mente tornò alle parole dure rivoltele da Simeone: «Una spada trapasserà la tua anima» (Luca 2,35). Ed ecco, la spada era adesso. Mentre stavo lì, ascoltando quei canti che si susseguivano senza fine, mi immaginai la Madre di Dio ai piedi della croce, che guardava negli occhi velati e tormentati di suo Figlio, e il mio cuore si spezzò.

È impossibile sapere che cosa vi fosse allora nell’anima della Madre di Dio, se ella avesse o meno il pensiero che suo Figlio sarebbe risorto… Non ne abbiamo alcuna prova, anzi, piuttosto il contrario. Le parole pronunciate molti anni prima dall’angelo sembravano essersi rivelate terribilmente, tragicamente sbagliate. Tutto ciò che lei poteva vedere ora era il corpo straziato del Figlio morto, deposto dalla croce, avvolto in fretta in un lenzuolo funebre – forse quel sudario le avrà ricordato le fasce? – e deposto in un sepolcro.

In un sepolcro.

E avendo questo pensiero, cercando di vedere le cose attraverso i suoi occhi, compresi. Ho compreso la Madre di Dio attraverso il suo dolore – il suo dolore di madre.

Per molti anni, la Madre di Dio è stata per me una pietra d’inciampo, un dogma da respingere. La mia comprensione riguardo a lei era condizionata dal fatto che ero stato protestante, non cattolico, e dunque quasi obbligato a emarginarla. Trattavo le madri dei miei amici meglio di quanto trattassi la Madre di Dio. Non avevo alcun legame con lei, era piuttosto un dogma con cui non ero d’accordo. Ma come si può non essere d’accordo con il dolore stesso? Come si può polemizzare con la sofferenza stessa?

Nel suo dolore ho visto, infine, la sua maternità, e attraverso la maternità, la sua persona intera. Ho compreso i sentimenti reciproci tra Gesù e sua Madre, rivelati in modo così commovente nella cura struggente che il Signore morente ebbe per il futuro destino della Madre sua quando la affidò a Giovanni, il discepolo prediletto. Come poteva essermi sfuggito, fino ad allora, questo aspetto?

Un altro punto che mi era sfuggito per anni – ed è tanto ovvio che mi sento sciocco nel rivelarlo –: Maria è ancora la Madre di Dio. L’Ascensione non ha annullato l’Incarnazione. Cristo è ancora il Figlio suo incarnato, e Maria è ancora la donna che Gli ha dato carne. Non è soltanto la constatazione di un fatto evidente: è la testimonianza di una relazione che continua. E il primo che mi aiutò a vedere questa verità fu padre Patrick Henry Reardon, al quale sarò eternamente grato.

La Chiesa svela questa verità attraverso l’iconografia. Spesso, quando viene raffigurata la morte di un santo, sono mostrati angeli che accolgono la sua anima nelle braccia e la conducono a Cristo. Ma non così nel caso della Dormizione della Madre di Dio. Manderebbe forse Cristo gli angeli a incontrare la propria Madre? È inconcepibile. Le icone tradizionali della Dormizione mostrano lo stesso Cristo accanto al corpo disteso della Madre sua, mentre tiene la sua anima tra le proprie mani, come un bambino.

Ci sono molte cose da scoprire riguardo alla Madre di Dio e al suo posto nella Chiesa. E l’inizio sta nell’apprezzamento e nella venerazione verso di lei, poiché ella stessa è la cara e preziosa Madre del nostro Signore.

Fonte: [http://www.patheos.com/blogs/joeljmiller]

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