San Nicodemo l’Aghiorita (1749-1809)-14/27 luglio

San Nicodemo l’Aghiorita è una delle figure più rappresentative dell’insegnamento teologico e spirituale durante il periodo della dominazione ottomana. Attraverso la sua opera, ha innalzato il livello spirituale dei monaci e dei fedeli, ha fatto conoscere la sapienza aghiorita, il profumo delle opere agiografiche e la grazia dell’innografia. A ragione, san Nicodemo è considerato l’orgoglio del Santo Monte e la gloria della Chiesa Ortodossa.

Secondo ieromonaco Eutimio, suo biografo e contemporaneo, il santo nacque nell’isola di Nasso nel 1749, da pii genitori, Antonio e Anastasia, e fu battezzato col nome di Nicola Kalivurtzis. Sua madre morì come monaca con il nome di Agata, nel monastero di san Giovanni Crisostomo a Nasso.

Le doti spirituali straordinarie che ornarono la vita di san Nicodemo si manifestarono già in giovane età. L’intelligenza acuta, l’amore per lo studio, l’eccellente memoria e la purezza d’animo lo resero il miglior allievo del sacerdote e maestro parrocchiale, al cui fianco serviva anche nelle sante funzioni e Liturgie. Si distinse pure nella scuola di Nasso.

All’età di 16 anni fu ammesso alla rinomata Scuola di Smirne, dove studiò con i grandi maestri del tempo, Ierotheos Dendrinos e Chrysantos Karavias. Tornato nella sua patria, approfondì le conoscenze sotto la guida del noto professore Chrysant Etoliano (+1785), fratello di san Cosma Etoliano. In quel tempo, l’allora metropolita locale, Anthimos Vardis, apprezzandolo e fidandosi di lui, lo nominò segretario.

Il suo biografo scrive:

“Lì incontrò i monaci aghioriti Gregorio, Nifone e il geronda Arsenio, uomini che superavano molti in virtù e umiltà, da cui apprese la pratica dell’ascesi e la preghiera del cuore. Di lì, non si sa quando, partì per Hydra, dove viveva san Macario di Corinto, che brillava in ogni virtù e santità. Conobbe anche il geronda Silvestro di Cesarea, che si esercitava in una cella isolata fuori dalla città. Egli gli fece gustare il miele dell’esicasmo e gli accese il desiderio per la vita monastica”.

Questi monaci aghioriti, detti “kollyvades”, erano stati scacciati dall’Athos perché sostenitori del movimento filocalico che auspicava il ritorno alla tradizione autentica della Chiesa. Da essi il giovane Nicola Kalivurtzis ricevette l’iniziazione alla preghiera del cuore e si infiammò d’amore per il monachesimo aghiorita.

Nel 1775, giunse al Monte Athos, dove fu tonsurato monaco nel Monastero di Dionisiu, ricevendo il nome Nicodemo. Gli fu affidato il compito di segretario. Dopo sette anni si trasferì al Monastero del Pantocratore, dove si distinse per la vita ascetica e per l’amore allo studio, diventando un esperto interprete della Sacra Scrittura.

Spinto dal desiderio di un’opera spirituale più elevata, decise di andare nei Principati Romeni per incontrare l’esicasta san Paisio Velicikovskij (†1794), ma il viaggio fu ostacolato. Rimase invece per un anno sull’isoletta disabitata di Skyropoula, vicino all’Athos, sotto l’obbedienza di geronda Arsenio Kollyvas, dove scrisse il Manuale dei buoni consigli.

Le sue opere

Il suo biografo elenca le principali opere spirituali, frutto della sua instancabile attività letteraria:

  • la celebre Filocalia,
  • l’Everghetinos,
  • il Trattato sulla comunione frequente,
  • le Opere di san Simeone il Nuovo Teologo,
  • la Confessione di fede,
  • il Theotokarion (Corona della Semprevergine),
  • La guerra invisibile,
  • il Nuovo Martirologio,
  • Virtù spirituali,
  • le Risposte di san Gregorio Palamas (andate perdute),
  • il Pidalion,
  • Cristoetia (sulla moralità cristiana),
  • Libro di preghiere,
  • Giardino delle grazie,
  • Dialoghi di Barsanufio,
  • Sinassario,
  • Abecedario di san Melezio,
  • Nuovo Sinassario,
  • Eortodromion (commento ai canoni delle feste),
  • La Scala Nuova.

A queste si aggiungono numerose opere esegetiche, liturgiche, innografiche, apologetiche, canoniche, ascetiche, mistiche, etiche e agiografiche – oltre 100 opere, molte delle quali ebbero varie edizioni.

La sua vita ascetica e la missione

Viveva in diverse celle nella deserta skiti di Kapsala, dipendente dal Monastero del Pantocratore, dove affrontò molte tentazioni, praticò un rigoroso digiuno, e visse in estrema povertà e preghiera. Divenne un punto di riferimento per tanti:

“Tutti quelli feriti dal peccato o dall’apostasia, trascurando vescovi e padri spirituali, correvano da Nicodemo, vestito di stracci, per trovare guarigione e consolazione. Non solo monaci, ma anche laici venivano da lontano per vederlo e ricevere conforto”.

Pur soffrendo per gli altri, come attestano le sue opere, i numerosi visitatori lo stancavano, distogliendolo dalla preghiera. Diceva spesso:

“Andiamo, padri miei, in un luogo deserto e sconosciuto, per fuggire il mondo”.

Relazione con la scuola athonita e con i martiri

Come il suo amico san Macario Notaras, anche san Nicodemo ebbe forti legami col Monastero di Vatopedi, frequentando la sua ricca biblioteca e l’Accademia Athonita (Athoniada). Nel 1801, quando la scuola affrontava gravi difficoltà, la Santa Sinassi dei Padri Aghioriti lo nominò nel consiglio amministrativo, insieme a Ambrosio di Trikala e a Cristoforo Prodromitis. Il suo contributo fu prezioso, sia spiritualmente che moralmente.

Fu anche teologo guida del movimento dei kollyvades, considerato da alcuni manoscritti “il più eminente ecclesiastico, studioso e scrittore dopo la caduta di Costantinopoli”. Curò l’edizione delle opere di san Gregorio Palamas e di san Simeone il Nuovo Teologo. I suoi scritti furono tradotti in turco, russo e romeno e letti da migliaia ancora oggi.

Collaborò anche con san Gregorio V, patriarca e martire, che gli affidò il nuovo martire Costantino di Hydra (1801) per la catechesi. Nella sua cella di Kapsala accoglieva anche molti eterodossi, che introduceva alla vita e alla teologia ortodossa.

Un testimone scrisse:

“Come autore di opere canoniche, liturgiche, agiografiche e ascetiche, Nicodemo è tra gli scrittori più autentici e senza dubbio il più zelante tra i monaci che la Chiesa potrà vantare per secoli”.

Confessione di fede e persecuzioni

Per le sue posizioni, fu aspramente invidiato da ignoranti e calunniato ingiustamente. Fu costretto a redigere una Confessione di fede, in cui dichiarava:

“Tutto ciò che la Santa Chiesa, Cattolica e Apostolica di Cristo – nostra madre spirituale – riceve e proclama, anche noi lo riceviamo e lo proclamiamo con una sola voce; e tutto ciò che essa rifiuta, anche noi lo rifiutiamo, come suoi veri e fedeli figli”.

La Santa Comunità del Monte Athos dichiarò il 13 gennaio 1801:

“Tutti noi unanimemente riconosciamo e confessiamo questo pio e autentico ortodosso, nutrito dai dogmi della Chiesa di Cristo, come emerge dai suoi scritti santi e salutari, privi di ogni errore. E come noi lo proclamiamo ortodosso, così anche voi tutti riconoscetelo nella verità”.

Dormizione e gloria

Questo coraggioso atleta dello Spirito, innamorato della Madre di Dio, amico e innografo dei santi, soffrì per amore della verità, non per malattia, ma per le fatiche ascetiche e le calunnie. Si ammalò nella sua amata e umile cella presso il Monastero di San Giorgio. Si confessò, ricevette l’Unzione degli infermi, si comunicava ogni giorno e pregava incessantemente, con il dolce nome di Gesù sulle labbra.

La notte del 13 luglio 1809, ricevette per l’ultima volta l’Eucaristia. Quando i fratelli gli chiesero:

“Hai pace, padre?”
egli rispose:
“Ho ricevuto Cristo dentro di me. Come potrei non avere pace?”

Il suo biografo scrisse:

“Nel quattordicesimo giorno, quando sorgeva il sole visibile, tramontò il sole intelligibile della Chiesa di Cristo. Si celò la colonna che guidava il Nuovo Israele nella pietà; si velò la nube che ombreggiava i sofferenti nel fuoco del peccato. I cristiani piansero. Un semplice uomo esclamò: ‘Padri miei, era meglio che oggi morissero mille cristiani, piuttosto che Nicodemo!’. Ma i raggi del suo insegnamento sono con noi, e continueranno a illuminare la Chiesa”.

Culto e canonizzazione

La Vita di san Nicodemo fu scritta dal ieromonaco Eutimio (1829), e una versione più breve da Onufrio Ivirita. Su queste si basano tutti gli agiografi successivi. L’ufficio completo fu composto da Gerasimo Mikragiannanita, dal Metropolita di Patrasso Nicodemo Vallindras, e dal Metropolita di Mithymna Giacomo. La santa testa del santo è custodita nel Monastero della Grande Lavra. Le sue icone sono diffuse in monasteri, chiese e case. La più antica immagine conservata si trova su un’incisione di rame del 1818, realizzata a Venezia, che orna molte prime edizioni delle sue opere.

Le sue opere hanno avuto numerose edizioni e traduzioni. La canonizzazione ufficiale ebbe luogo nel 1955, e la sua memoria si celebra il 14 luglio.

Traduzione basata sul testo aghiografico romeno redatto dal monaco Moise Aghioritul (Sinaxarul Vatopedin, 2007)

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