Il digiuno nella tradizione canonica della Chiesa

Arhimandrita Filótheos Petrákos

Uno dei digiuni più importanti della nostra Chiesa è il Santo e Grande Digiuno della Pasqua. Esso è stato istituito fin dagli inizi del cristianesimo, poiché fu predicato direttamente dai Santi Apostoli. Secondo la Tradizione Apostolica, questo digiuno deve essere osservato perché è stato stabilito in memoria del digiuno che il Salvatore ha mantenuto per quaranta giorni nel deserto, prima dell’inizio della Sua predicazione pubblica (Matteo 4,2).

Il Digiuno dei quaranta giorni della Pasqua, insieme ai digiuni del mercoledì e del venerdì durante l’anno, sono i più antichi digiuni della Chiesa cristiana. Inoltre, questi sono gli unici periodi e giorni di digiuno che sono stati confermati anche dai Concili Ecumenici. In tal senso, è importante ricordare che Zonara, canonista, nel suo commento al Canone 69 dei Santi Apostoli, attribuisce la stessa importanza ai giorni di mercoledì e venerdì dell’anno, come al periodo del Digiuno Pasquale.

Secondo Matteo Vlastaris, il Digiuno Pasquale rappresenta la “decima” del tempo, ossia la scelta di un periodo che rappresenta un decimo dell’intero anno, dedicato al digiuno e offerto in sacrificio al Signore. Questo calcolo si può fare nel seguente modo: l’anno ha 365 giorni, mentre il Digiuno Pasquale comprende sette settimane. Da queste sette settimane si escludono i sabati e le domeniche, quando è concessa la dispensa per il vino e l’olio. Così, restano 35 giorni di digiuno pieno. Aggiungendo a questi anche il Sabato Santo, si arriva a 36 giorni, cioè il 10% di 360. Se si considera anche la notte del Sabato Santo fino al mattino del giorno luminoso della Risurrezione, si aggiunge ancora mezza giornata, che corrisponde agli altri 5 giorni dell’anno, completando così il numero di 365 giorni. In tal modo, si realizza pienamente la decima del tempo.

Del Digiuno della Quaresima, ma anche del digiuno in generale, si occupa la tradizione canonica della Chiesa cristiana, così come è stata recepita dai Concili Ecumenici e Locali, e come è riportata anche nelle Epistole dei Santi Padri, che costituiscono una guida per i Santi Canoni. Attraverso la tradizione canonica si sottolinea l’importanza e la necessità del digiuno. Tuttavia, non bisogna dimenticare che il digiuno è stato stabilito per il bene e il beneficio dell’uomo, e non come una “punizione” per lui.

In primo luogo, nella tradizione canonica della Chiesa si accentua la necessità del digiuno. Inoltre, l’evitamento del digiuno comporta pene canoniche. Il Canone 69 dei Santi Apostoli stabilisce che il vescovo, il prete o il laico che non osserva il Digiuno della Quaresima, o i digiuni del mercoledì e del venerdì durante l’anno, siano deposti (i chierici) e scomunicati (i laici). Fanno eccezione solo coloro che non possono digiunare per motivi di salute. I canoni relativi all’obbligatorietà del Digiuno Pasquale sono stati imposti affinché i fedeli, durante questo periodo, si esercitino nella lotta spirituale, si purifichino dalle passioni e si pentano.

In secondo luogo, va precisato che i Padri della Chiesa non consideravano il digiuno come un fine in sé, ma solo come un mezzo attraverso il quale dobbiamo raggiungere il nostro scopo, che è la deificazione dell’uomo. Attraverso l’ascesi e il digiuno, l’uomo, corpo e anima, si umilia, rientra in sé. Fanno eccezione al digiuno solo coloro che sono malati. In questi casi, il digiuno può essere sospeso, perché la stessa malattia di cui qualcuno soffre è una fatica che comporta l’umiliazione del corpo. Questo risulta chiaramente dal Canone 10 di Timoteo di Alessandria. San Timoteo, essendo stato interrogato se un malato possa essere dispensato dal digiuno della Quaresima, risponde dicendo che l’ammalato deve consumare anche olio e vino, secondo le sue necessità fisiche. Teodoro Balsamone, commentando questa situazione, afferma che è giusto che chi soffre di qualche malattia consumi vino e olio. Tuttavia, condiziona ciò al consiglio del padre spirituale della persona sofferente. Il padre spirituale è colui che può giudicare con economia o con esattezza, a seconda di ogni singola situazione.

Lo stesso contenuto lo ritroviamo anche nel Canone 8 di San Timoteo. Interrogato se una donna che ha partorito durante il Digiuno Pasquale possa ricevere la dispensa, egli risponde, come i Padri precedenti, dicendo che il digiuno è stato stabilito per l’umiliazione del corpo. Quando il corpo soffre, non vi è più bisogno di un’ulteriore fatica. Balsamone, riferendosi a questo canone, afferma che, se il corpo soffre, e pertanto è già stato umiliato dalla malattia (o da altro), non ha più necessità di sottostare alla pedagogia del digiuno, ma deve piuttosto ristabilirsi e recuperare le proprie forze. Quindi, la donna che ha appena partorito è dispensata dall’obbligo del digiuno.

Come vediamo, i Padri hanno un atteggiamento intransigente ma al tempo stesso equilibrato riguardo al digiuno. Oltre alla severità delle disposizioni canoniche, esse rivelano una particolare flessibilità rispetto alla questione del digiuno. Oltre al loro atteggiamento pieno di discernimento, i Padri hanno circondato con amore tutti, e hanno giudicato con economia quelle situazioni in cui i cristiani si trovavano in malattie o in infermità. Essi non vedono nel digiuno un fine in sé, ma solo un mezzo di perfezionamento.

D’altro canto, non sono pochi, ai nostri giorni, i casi in cui i padri spirituali impongono ai fedeli dei “canoni” superiori alle loro forze, a cristiani che accorrono con speranza e pentimento, cadendo sotto il loro epitrachilio, oppressi da gravi peccati e difficili da sopportare, persone che hanno ceduto sotto il peso della responsabilità della propria confessione. Il digiuno, insieme alla preghiera che lo accompagna, deve essere osservato con amore e libera volontà, senza costrizioni. A questo riguardo, il Santo Sinodo della Chiesa di Grecia, nel 1917, non esitò a prendere la decisione di dispensare dall’obbligo del digiuno alcune categorie di fedeli (malati, bambini, donne incinte, anziani), a causa delle difficili condizioni economiche in cui si trovava la Grecia in quel periodo.

San Giovanni Crisostomo presenta con chiarezza i reali benefici del digiuno nella vita del credente. Il padre divino, conoscendo l’importanza dell’opera salvifica di Cristo attraverso la Passione e la Croce, insegna che il lamento dell’anima e il digiuno sono per l’uomo, come persona, per i suoi peccati e passioni. Egli precisa che nella Quaresima non digiuniamo né per la Pasqua, né nemmeno per la Croce, poiché la Pasqua è momento di gioia e letizia spirituale, e non di lamento e digiuno. Allo stesso modo, la Croce è simbolo della salvezza e dell’amore, perché per mezzo di essa il peccato è stato scacciato dal mondo. Il digiuno è stato istituito unicamente per il beneficio spirituale dell’uomo. È un mezzo di perfezione che lo stesso Cristo ha predicato attraverso la Sua vita. Seguendo questa via, siamo rinnovati spiritualmente, dimentichiamo i peccati e il loro ricordo, e con cuore puro aspiriamo, passando attraverso la Croce e la Sepoltura, alla gloriosa Risurrezione.

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