Archimandrita Iustin (Pârvu) – † 16 giugno

Padre Iustin nacque il 10 febbraio 1919 nel villaggio di Petru Vodă, in una famiglia di romeni ortodossi molto pii, e fu battezzato con il nome di Iosif. A 17 anni entrò nel monastero di Durău. Studiò in tre seminari teologici: quello del monastero di Cernica e quelli delle città di Râmnicu Vâlcea e Roman. Nel 1940 emise la professione monastica, e l’anno seguente fu ordinato ieromonaco. Dopo la Seconda guerra mondiale proseguì gli studi presso il seminario di Roman, che concluse nel 1948. In quello stesso anno fu arrestato dalle autorità comuniste e condannato a 12 anni di prigione per “opinioni politiche”.

Padre Iustin scontò la pena in carceri famigerate per le durissime condizioni di detenzione: Suceava, Văcărești, Jilava, Gherla, Periprava e Aiud.
Nel 1960, alla fine della pena, gli fu chiesto cosa avrebbe fatto una volta liberato. Rispose:
Tornerò al servizio della Chiesa, dal quale mi hanno strappato!
Per questa risposta gli furono inflitti altri quattro anni di prigione, senza alcun processo, che scontò nel terribile campo di Periprava, nel delta del Danubio.

Liberato nel 1964, fu costretto a lavorare come operaio forestale.
Nel 1966, l’ieromonaco Iustin fu accolto nella fraternità del monastero di Secu, dove per otto anni svolse l’obbedienza di padre spirituale. In seguito fu trasferito al monastero di Bistrița, con il divieto di uscire dal monastero; qui, sotto stretta sorveglianza, visse per 15 anni, dal 1974 fino alla caduta del regime comunista nel 1989. Nel 1976, per grazia di Dio, a padre Iustin fu concesso di visitare il Monte Athos.

Con la caduta del regime comunista, il settantenne ieromonaco Iustin tornò al monastero di Secu, desiderando dedicare il resto della sua vita alla preghiera in eremitaggio. Tuttavia, fu inviato nel villaggio di Petru Vodă, nel distretto di Neamț, dove fondò un monastero dedicato ai Santi Arcangeli Michele e Gabriele, in onore dei martiri romeni caduti nelle prigioni comuniste.

A una certa distanza dal monastero, padre Iustin fondò uno skit femminile, poi trasformato in monastero della Santissima Madre di Dio. Furono aperti anche un ricovero per anziani, un orfanotrofio e un ospedale, che formarono in seguito il complesso caritativo «Petru Vodă».


Nel 2003, il padre fondò la rivista «Voce dei monaci» («Glasul Monahilor»), e nel 2008, con la sua benedizione, cominciò a essere pubblicata la rivista «Posizioni» («Atitudini»).
Padre Iustin guidava anche la vita spirituale di diversi skiti.

Nel 2006, l’ieromonaco Lavrentie Carp (Lucian) fu nominato superiore del monastero, e padre Iustin divenne il padre spirituale principale della comunità. Nel 2008, padre Iustin (Pîrvu) fu elevato al rango di archimandrita. Era molto amato e venerato in tutta la Romania.

A partire dalla fine di marzo 2013, il cancro allo stomaco, di cui soffriva segretamente da anni, diede metastasi, e dopo dolori atroci, l’archimandrita Iustin si addormentò nel Signore il 16 giugno 2013, alle ore 22:40.

Dal blog romeno «Blog de Dogmatică Empirică» viene riportata la testimonianza del professor Marian Maricaru su eventi miracolosi seguiti alla morte di p. Iustin (Pîrvu) nel Santo Monastero di Petru Vodă in Romania.
Secondo la testimonianza, il corpo del padre non manifestò alcuna rigidità cadaverica, come spesso accade con i monaci dell’Athos. La pelle delle sue mani era ancora morbida anche quattro giorni dopo la morte, e dalle sue spoglie emanava un profumo straordinario.

Tutta l’atmosfera del funerale era pasquale. Sembrava Pasqua. Nulla ricordava la tristezza della morte. Le lacrime delle persone erano insieme di gioia e di dolore. Lo stesso funerale del padre, nella sua forma sacra, ti faceva percepire la gioia della Risurrezione — un fatto che, come scrive il signor Marian Maricaru, non si era mai avvertito a nessun altro funerale.

Nei commenti all’articolo sopra citato, pubblicati sullo stesso blog, molte persone confermarono quanto riportato.
Un’altra fonte riferisce inoltre che, dopo la morte del padre, nella notte tra domenica e lunedì, dal 16 al 17 giugno 2013, dagli occhi del padre scendevano lacrime. Il monastero chiamò un gruppo di medici per investigare e spiegare il fenomeno, ma nessuno fu in grado di dare una spiegazione scientifica. La fonte originale pubblica anche un video con la reazione di una indemoniata che si avvicinò al corpo di padre Iustin. Secondo la testimonianza romena, la ragazza fu guarita.

Conversazione con lo starets Iustin (Pârvu) sulla Pasqua vissuta in prigione
– 16 dei suoi 88 anni li ha trascorsi in prigione.
– Sì, ma furono gli anni più belli, perché se non li avessi vissuti, non sarei ciò che sono ora. Sappiate che in libertà l’uomo non sa costruire la propria vita. È molto instabile e soggetto all’influenza di tutto ciò che lo circonda. Ma quando è costretto a formare il proprio carattere, a seguire una posizione e una linea di condotta, allora comincia la sofferenza che santifica.

Il Cristianesimo ortodosso non sarebbe Cristianesimo ortodosso se non fosse passato attraverso 200 anni di persecuzioni. Se non fosse passato per tutto il Medioevo e fino ai giorni nostri. Perché il Cristianesimo è sempre stato costretto a sanguinare, se non qui, allora là. Il Cristianesimo continua a sanguinare — e continua a vivere di generazione in generazione. Il sangue dei martiri è seme del Cristianesimo. E la vita che ho condotto in quegli anni fu forse la più feconda e la più bella, perché per tutti quei 16 anni passavo dalla morte alla vita e dalla vita alla morte. E lì fu tutta la mia evoluzione, estremamente benefica per l’uomo che si forma per la vita.

– E ha vissuto la Pasqua più bella…
– La Pasqua più bella!
– … nella miniera di Baia Sprie (*La città di Baia Sprie, insieme a Baia Mare e ad altre, si trova nell’estremo nord della Romania, nella regione del Maramureș, ed è nota fin dal XV secolo per le sue ricchissime miniere di oro, argento e altri metalli non ferrosi).

– Là ho celebrato la Liturgia, forse proprio per non celebrarla ora. Forse Dio mi ha punito, e poco prima della Pasqua mi sono rotto la rotula e sono rimasto a letto. Forse ho fatto qualcosa… Ma quella era bellissima, perché celebrare la Liturgia là, sotto il naso di un miliziano che stava dietro la porta, non è affatto facile. Se mi avesse sorpreso in preghiera, mi avrebbe fatto vedere i sorci verdi!

Padre Calciu raccontava come celebrava la Liturgia in cella. Non c’era pane, solo un po’ di vino e qualche recipiente, mentre nel corridoio montava la guardia il più terribile dei miliziani! Con lui era impossibile anche solo parlare. Nei giorni festivi mettevano apposta gente del genere di guardia, per rendere difficile la vita ai detenuti.

E padre Calciu bussa alla porta. Quello apre:
– Cosa vuoi, bandito?
– Signore, non ho nemmeno un pezzo di pane.
– Pane?! Ma è ora di pranzo?
Gli sbatte la porta in faccia e se ne va. Ma dopo 10 minuti torna con un pezzo di pane.
– Ecco, prendi il pane! Ma bada bene che non ti senta parlare!
– Ma come potrei parlare, signore? Solo che ora lei è presente come autore della nostra Liturgia.

E lì, completò la sua Santa Liturgia, una cosa mai vista. Con tutto il coro concelebrante, con tutti i sacerdoti, una Liturgia celebrata sul corpo di un detenuto malato, che dopo la Comunione resistette ancora sei ore e poi si addormentò nel Signore. Erano Liturgie vive, sui corpi dei martiri. Come ben sapete, alla consacrazione di una chiesa si pongono sotto la santa mensa reliquie di martiri.

Non parliamo poi di quanto fosse bello a Baia Sprie il “rintocco delle campane”, cioè delle punte da trapano di varie lunghezze, con cui si foravano le rocce, e che ora si battevano a mo’ di campane, quando là si radunavano 200 uomini a cantare: «Cristo è risorto!».

E quando uscivamo da lì con questi canti, in superficie sapevano già che i detenuti celebravano la funzione nella miniera. Nella galleria scesero 5 secondini disarmati — ai detenuti non si andava mai con le armi — e fuori ci aspettavano le care compagnie della milizia e della sicurezza. E noi, con le acclamazioni e i canti pasquali, uscivamo dalla miniera, da 400 metri di profondità, e le nostre voci risuonavano in tutta l’area da Baia Sprie a Baia Mare (9 km).

Dalla miniera ogni giorno tornavamo al campo, alle baracche, la nostra dimora.
Quella volta ci tennero chiusi lì affamati, e dopo un paio di giorni radunarono tutti nel cortile:
– Banditi, sapete perché vi abbiamo tenuti così, senza cibo? Perché dalla vostra testa non uscivano certe sciocchezze. E ora andate, lavatevi, mangiate e tornate in miniera!

Il Venerdì Santo ci diedero una minestra di cavolo così cattiva che non si poteva immaginare! Salata e acida, così che andammo in miniera dopo aver mangiato 100 g di pane, e lavorammo un’intera giornata a digiuno. E proprio il giorno di Pasqua imbandirono una tavola abbondante, ricchissima — una montagna di carne — e loro restarono là, al banchetto, mentre noi, in digiuno e preghiera, andammo a compiere il nostro dovere e consegnammo la normale quantità di piombo e galena…

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