Poiché attraverso l’osservanza dei quaranta giorni abbiamo voluto agire in modo da sperimentare qualcosa della croce nel tempo della passione del Signore, dobbiamo cercare di essere trovati partecipi anche della resurrezione di Cristo e di passare dalla morte alla vita (cf. Gv 5,24) mentre viviamo in questo corpo…
Il popolo di Dio riconosca dunque di essere una nuova creatura (cf. 2Cor 5,17) e con animo attento cerchi di comprendere da chi questa creatura sia stata assunta e chi l’abbia accolta in se stessa.
Quanto è stato fatto nuovo non ritorni alla vecchia instabilità e chi ha messo mano all’aratro non abbandoni il suo lavoro, ma stia attento a ciò che ha seminato, non si volga a guardare ciò che ha lasciato (cf. Lc 9,62).
Nessuno ricada in ciò da cui si è risollevato, ma anche se a causa della fragilità del corpo è ancora indebolito, desideri ardentemente di essere guarito e di potersi rialzare.
Questa è infatti la via della salvezza e l’imitazione della resurrezione iniziata in Cristo: che trasferiamo i nostri passi dal terreno cedevole a quello solido, dal momento che sul cammino sdrucciolevole della vita capita di cadere e di scivolare.
Sta scritto: Il Signore dirige i passi dell’uomo e custodisce il suo cammino. Se il giusto cade, non rimane per terra perché il Signore lo tiene per mano (Sal 36 [37], 23-24).
Questa meditazione, carissimi, non riguarda soltanto la festa di Pasqua, ma va ricordata in vista della santificazione di tutta la vita, e ciò che abbiamo praticato in questo tempo deve essere inteso in questo modo: che quanto ha rallegrato l’animo dei fedeli nel corso di una breve osservanza si deve trasformare in consuetudine e rimanere intatto.
Se si insinua qualche peccato, lo si cancelli rapidamente con il pentimento…
Così, risorgendo sempre da ogni caduta a ciò che è integro, meritiamo di giungere a quell’incorruttibile resurrezione della carne, che sarà glorificata in Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli.
San Leone Magno, Discorsi, 58, 1.6.
(Testo latino: Sermo LVIII, 1.6; PL 54, 340-341)
