scritta da Sofronio, vescovo di Gerusalemme,
tradotta da Paolo, diacono della santa Chiesa di Napoli
Celare il segreto del re è cosa buona; ma rivelare le opere di Dio e renderne testimonianza è cosa degna di onore. Così infatti si legge che l’angelo disse a Tobia dopo la perdita degli occhi e il miracoloso recupero della vista e dopo i passati pericoli, quando, liberato da questi, ottenne la misericordia di Dio. E, infatti, manifestare il segreto del re è nocivo e molto pericoloso e passare sotto silenzio le opere gloriose di Dio è di gran danno per l’anima. Per questo io — per paura di coprire con il silenzio le cose divine e temendo l’imminente giudizio di condanna del servo pigro, che avendo ricevuto dal Signore un talento lo nascose, scavando, sotto terra e che ciò che gli era stato dato per lavorare lo tenne nascosto senza farlo fruttare — in nessun modo passerò sotto silenzio il sacro racconto che mi è stato consegnato. Ma nessuno sia incredulo verso di me che scrivo di ciò che ho udito, né alcuno pensi che io menta, dubitando della grandezza di un tale evento. Lungi da me, infatti, mentire sulle cose sacre e profanare la parola in cui Dio è ricordato. Non sarà imputabile a me, poi, il pericolo di colui che comprende solo le cose più basse, che è indegno della grandezza di Dio — il quale ha preso carne — e che è incredulo verso di me che dico queste cose. Se poi ce ne sono di quelli che, avendo letto interamente questo testo scritto, si rifiutassero di concedergli una gloriosa ammirazione, anche di essi il Signore abbia misericordia e li renda capaci di ricevere la santa parola, perché non si rendano colpevoli nei confronti dei prodigi di Dio, prodigi che egli ha preordinato che avvenissero in gran quantità nei suoi eletti; anch’essi, infatti, esaminando le debolezze della natura umana, ritengono impossibili quelle cose gloriose che si dicono degli uomini santi.

Comincerò, del resto, il racconto, riportando il fatto stesso — che riconosciamo avvenuto in questa nostra stessa generazione — che quel santo uomo, educato sia a fare che a insegnare cose divine, narrò. Ma, come si è detto sopra, nessuno prenda queste cose con incredulità, considerando impossibile che in questa nostra generazione sia avvenuto un così grande prodigio; la grazia di Dio, infatti, passando attraverso tutte le generazioni nelle anime sante forma amici di Dio e profeti, come Salomone insegna secondo Dio. Ed è, infatti, il tempo di dare inizio alla sacra narrazione, al grande e valoroso combattimento di Maria Egiziaca, al modo in cui trascorse il tempo della sua vita.
1. In un monastero della Palestina vi fu un uomo luminoso per condotta di vita e parola, diligentemente istruito fin dalla nascita nelle pratiche monastiche ed educato con autenticità nella vita di conversione, di nome Zosima. E nessuno pensi che parliamo di quello Zosima di una setta estranea accusato di predicazione erronea nella dottrina di fede; uno, infatti, è questo, un altro è quello, sebbene entrambi abbiano avuto in sorte lo stesso nome proprio. E così questo Zosima visse fin dall’inizio in un monastero della Palestina e, passando attraverso tutta la disciplina monastica, era diventato il più sperimentato di tutti nell’opera dell’astinenza. Ogni precetto della regola, infatti, che gli era stato consegnato da coloro che a loro volta vi erano stati educati fin dall’infanzia, conservava in maniera irreprensibile la lotta della perfetta disciplina monastica. Egli stesso inoltre vi aggiunse, aumentandosele, molte cose, bramando di soggiogare la carne allo spirito. Non si ha, infatti, prova che egli abbia mai mancato in nulla. Fu, infatti, così perfetto in tutte quante le pratiche monastiche, che sovente molti monaci, confluendo a lui dai monasteri del suddetto luogo e da regioni lontane, si impegnavano secondo i suoi esempi e i suoi insegnamenti e per imitazione di lui si sottomettevano molto di più all’astinenza.
2. Avendo dunque in sé tutte queste cose, non si allontanò mai dalla meditazione della sacra Parola, ma sia quando riposava sul suo letto sia quando si alzava o teneva fra le mani un lavoro o prendeva cibo — se era opportuno che lo prendesse — si serviva di quel bene di cui era solito far uso in maniera spirituale: aveva cioè un’unica opera che praticava in modo indefesso e senza mai venir meno: salmodiare di frequente e meditare sulla sacra Parola. Sovente, infatti, si dice che, reso degno anche dell’illuminazione divina, gli venissero mostrate da Dio delle visioni; il che non è straordinario né da non credere. Se infatti, come dice il Signore, sono beati i puri di cuore perché vedranno Dio, quanto più coloro che hanno purificato la loro carne, sempre sobri, ben vigilanti sul loro animo, vedono dei riflessi della luce divina, ricevendo di qua una primizia della visione della felicità futura che ci è preparata! Lo stesso Zosima, poi, affermava che — per così dire — era stato consegnato in quel monastero dalle braccia di sua madre e che fino al cinquantatreesimo anno aveva vissuto in esso il cammino monastico.
Dopo tutte queste cose, però, fu tormentato da certi pensieri, come se ormai fosse perfetto in tutto, senza bisogno in nulla dell’insegnamento di un altro. Questo poi, com’egli diceva, era ciò che pensava in se stesso: “C’è forse sulla terra un monaco che mi possa insegnare qualcosa di nuovo, essermi d’aiuto poiché capace di qualcosa che io non conosca o che io non abbia compiuto nell’opera monastica? Si trova forse tra coloro che han fatto una vita di solitudine un uomo che sia prima di me nelle opere?”. Mentre pensava queste cose e altre simili, si presentò un tale e gli disse: “O Zosima, certo bene e secondo quanto è stato possibile a un uomo tu hai combattuto, bene hai portato a compimento il cammino monastico. Tuttavia non c’è nessuno fra gli uomini che possa dar prova di essere perfetto. Più grande, infatti, è la lotta presente di quella passata, anche se tu non lo sai. Affinché, però, tu conosca quanto grandi siano anche le altre vie di salvezza, esci dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, come l’esimio patriarca Abramo, e vieni al monastero che si trova presso il fiume Giordano”.
3. Subito, dunque, seguendo colui che parlava, uscito dal monastero in cui era vissuto fin dall’infanzia e giungendo al Giordano, il più santo tra tutti i fiumi, viene condotto da colui che lo aveva chiamato al monastero là dove Dio gli aveva ordinato di andare. Bussando, dunque, alla porta del monastero, parlò prima al monaco che custodiva la porta e questi lo annunciò all’abate. Egli, accogliendolo, vedendo dall’abito e dall’aspetto che era un monaco, dopo che [Zosima] si fu inginocchiato — come è costume per i monaci — e che ebbe ricevuto la benedizione, lo interrogò dicendo: “Da dove sei venuto, fratello? E per qual motivo ti sei unito a questi umili monaci?”. E Zosima rispose: “Da dove vengo non ritengo necessario dirlo; e vengo, o Abba, a motivo di edificazione. Ho udito di voi cose grandi e degne di lode e che potete unire un’anima a Dio”. Gli disse allora l’abate: “Fratello, Dio, che solo sana l’infermità dell’anima, lui stesso insegni a te e a noi i divini comandamenti e guidi tutti a fare ciò che è opportuno. Un uomo, infatti, non è capace di edificare un altro uomo se non rivolge di frequente l’attenzione a se stesso e se non opera con intelletto sobrio ciò che giova, avendo Dio come suo cooperatore. Tuttavia poiché, come hai detto, l’amore di Cristo ti ha condotto a vedere noi, umili monaci, rimani con noi, se è per questo che sei venuto, affinché il pastore buono nutra tutti noi con la grazia del suo Spirito santo, egli che ha dato la sua vita per la nostra liberazione e che chiama le sue pecore per nome”.Dopo che l’abate ebbe detto queste cose, Zosima, inginocchiatosi di nuovo, ricevuta la benedizione, rispose: “Amen” e rimase in quel monastero.

4. Vide poi là degli anziani che risplendevano nelle azioni e nel volto, ferventi nello spirito e che servivano il Signore. Ve ne erano di quelli che salmodiavano, che stavano incessantemente là tutta la notte, tenendo sempre fra le mani un lavoro e senza che sulla loro bocca venisse meno il salmo divino. Mai di là usciva una parola oziosa, né vi era presso di loro un qualche pensiero sull’oro o sull’argento o su una qualunque cosa. Della spesa per tutto l’anno o della misura di terra o delle considerazioni sulla vita temporale — cose che si accompagnano a dolori — non se ne conosceva presso di loro neanche il nome, ma una cosa soltanto aveva il primato e verso di essa tutti si affrettavano: cioè che ognuno fosse morto al corpo come una volta lo fu al mondo, diventato ormai morto alle cose che sono nel mondo, non più vivo. Il cibo, poi, non mancava loro: le parole divine. Il corpo, invece, lo nutrivano con pane e acqua, per comparire presso la divina clemenza molto più in grado di ottenerla.
5.Osservando queste cose, Zosima — come egli stesso poi disse — ne restò grandemente edificato, protendendosi verso la perfezione, aumentando le proprie osservanze, trovando altri che faticavano insieme a lui e che rendevano ottimamente presente il divino paradiso. Trascorsi, poi, un certo numero di giorni, si avvicinò il tempo in cui per i cristiani è tradizione compiere i sacri digiuni e purificare se stessi in vista del giorno della divina passione e della salvezza della resurrezione. La porta principale del monastero non veniva mai aperta, ma restava sempre chiusa e i monaci adempivano alle loro osservanze senza nessun disturbo; non era lecito, infatti, neppure aprirla ogni tanto, se non quando arrivava qualche monaco per un lavoro necessario. Quel luogo, infatti, era solitario e per la maggior parte dei vicini non solo insolito, ma anche sconosciuto. Tale regola, poi, vi era osservata fin dai primi tempi; per questo, penso, Dio aveva condotto Zosima proprio a quel monastero.
6. Da ora, dunque, riferirò come veniva osservata la tradizione di questo monastero. Nella domenica che, secondo la consuetudine, da il nome alla prima settimana di digiuni, si celebravano come di norma i divini sacramenti e ognuno veniva reso partecipe del vivificante e incontaminato corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo. E dopo aver preso, come al solito, un po’ di cibo, si radunavano tutti nell’oratorio e, piegate le ginocchia e fatta con suppliche una preghiera, i monaci si scambiavano a vicenda l’abbraccio della pace e ognuno, inginocchiatosi pubblicamente, abbracciava l’abate chiedendo la benedizione, per averlo come cooperatore e compagno all’inizio della lotta. Così facendo spalancavano le porte del monastero e cantando all’unisono: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore? Il Signore è il difensore della mia vita, di chi avrò paura?” uscivano, lasciando sovente uno o due custodi del monastero, non perché custodissero le cose che vi si trovavano dentro (non c’erano, infatti, presso di loro cose che potessero interessare ai ladri), ma per non lasciare l’oratorio senza gli uffici divini. Ognuno, poi, si nutriva secondo come poteva o voleva. Infatti, uno portava [acqua] secondo la misura sufficiente al corpo, un altro fichi, un altro datteri di palma, un altro poi legumi che erano stati immersi nell’acqua, un altro nulla oltre al proprio corpo e al vestito che indossava. Si nutrivano, poi — quando lo esigeva la necessità della natura —, delle erbe che nascevano nel deserto. Ognuno, inoltre, era regola a se stesso ed era legge da non trasgredire che nessuno sapesse come il suo compagno facesse astinenza o come vivesse. Traversando, infatti, subito il Giordano, si separavano gli uni lontano dagli altri e nessuno si univa al compagno, ritenendo il deserto stesso una città. E se, inoltre, uno di loro vedeva di lontano qualcuno che veniva verso di lui, subito deviava dal cammino e si dirigeva da un’altra parte; viveva, poi, per sé e per Dio, salmodiando di frequente e prendendo cibo al tempo stabilito. Così, dopo aver compiuto tutti i digiuni, ritornavano al monastero prima del vivificante giorno della resurrezione del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo — festa che la chiesa inizia a celebrare con i rami delle palme —. Ritornavano, poi, avendo ciascuno come testimone della propria fatica la propria coscienza, che sapeva come aveva operato e quali semi di fatica aveva seminato. E nessuno, in nessun modo, domandava a un altro come e in qual modo avesse portato a termine le lotte di tale fatica.
7. Questa, dunque, è la regola di questo monastero ed è con tale perfezione e in modo ottimo che essa era osservata. Si dice, infatti, che ognuno nel deserto si univa a Dio e che lottava in se stesso per non piacere agli uomini, ma a Dio solo. Le cose, infatti, che si fanno a motivo degli uomini o per piacere a loro non solo non saranno di giovamento a quanti le fanno, ma anche diventano causa di rovinose calamità per quelli che le compiono. E così, dunque, Zosima, secondo la consueta legge del monastero, passò il Giordano portando con sé un po’ di cibo secondo la necessità del suo corpo; e attraversando il deserto osservava la regola e al tempo del cibo colmava la necessità della natura. La notte, poi, si sedeva per terra, riposando un po’ e assaporando un po’ di sonno dovunque l’ora della sera lo trovasse. All’alba, poi, cominciava a camminare in fretta, mantenendo sempre lo stesso immutabile proposito, poiché desiderava — come diceva — entrare nel deserto, sperando di trovarvi qualche Abba che lo abitava che potesse edificarlo in qualcosa, come egli desiderava; e continuava senza posa a camminare, come affrettandosi verso qualcuno che conosceva. Il cammino durava ormai da venti giorni e poiché era giunta l’ora sesta si fermò un po’ dal viaggio e, voltatosi verso oriente, recitava la consueta preghiera. Era solito, infatti, a un’ora stabilita del giorno, fermare il corso del viaggio e salmodiare stando in piedi e pregare in ginocchio. Mentre, poi, salmodiava e guardava verso il cielo con sguardo intenso, vide dalla parte destra, dove pregava, apparire un’ombra come di corpo umano; dapprima egli si turbò e tremò, pensando di vedere il fantasma di un qualche spirito; poi, proteggendosi con il segno della croce e scacciando via da sé il timore (ormai, infatti, anche la sua preghiera stava finendo), girando gli occhi vide qualcuno che davvero si affrettava verso occidente. Ed era una donna ciò che egli vedeva, dal corpo nerissimo — annerita dall’arsura del sole — e con i capelli del capo bianchi come la lana e corti, che scendevano non più che fino al collo.
8.E così Zosima, vedendo ciò e contento per la dolcezza desiderata, cominciò a correre in fretta da quella parte dove anche l’altro che gli era apparso si affrettava. Gioiva, infatti, di grande gioia, poiché per tutta la durata di quei giorni non aveva visto aspetto d’uomo o di animale o di uccello, né forma di bestia selvaggia. Desiderava, infatti, conoscere quale e che tipo di bestia fosse quella che aveva visto, sperando che gliene sarebbe venuto qualcosa di grande. Quella invece, appena vide Zosima venirle incontro, cominciò, fuggendo, a correre verso il deserto più interno. Zosima allora, dimenticando l’età senile e senza tener conto della fatica del cammino, si protese con velocissima corsa, con il desiderio di veder bene la fuggitiva. Egli, infatti, veniva dietro, lei andava avanti. La corsa di Zosima, però, era più veloce ed egli riduceva la distanza. Quando poi le si fu avvicinato a portata di voce, Zosima cominciò, proferendo queste parole, a gridare con lacrime: “Perché fuggì da me, che sono decrepito e peccatore, o servo di Dio? In verità, accoglimi, chiunque tu sia, per il Dio nel nome del quale abiti in questo deserto. Accogli me debole e indegno. Accoglimi, per la speranza che hai nel premio di una così grande fatica. Fermati e concedi a questo vecchio una preghiera e una benedizione in nome di Dio, che non ha mai rigettato nessuno”. Mentre chiedeva queste cose con lacrime giunsero, correndo, a un luogo solcato come da un torrente inaridito, in cui egli considerò che vi fosse stato un torrente; il terreno in quel luogo si presentava proprio in modo tale da somigliare a ciò. Non appena, dunque, giunsero nel suddetto luogo, colei che fuggiva discese e salì di nuovo dall’altra parte. Allora Zosima, gridando e incapace ormai di andare oltre, stette dall’altra parte del torrente — cioè di quello che sembrava aver l’aspetto di un torrente — e aggiunse lacrime a lacrime e sospiri a sospiri, affinché, per il suo vicino gridare, ella udisse molto di più i suoi lamenti.
9. Allora quel corpo che fuggiva emise questa voce: “Abba Zosima, perdonami, in nome di Dio, poiché non posso farmi vedere a te voltata. Sono una donna, infatti, e sono nuda di ogni rivestimento del corpo, come tu stesso vedi, e ho scoperta la vergogna del corpo. Ma se vuoi davvero esaudire la preghiera di una donna peccatrice gettami l’abito di cui sei avvolto, affinché volgendomi verso di te possa coprire la mia debolezza femminile e accolga le tue preghiere”. Allora un tremore, un fortissimo timore e un trasporto della mente presero Zosima. Egli, infatti, era un uomo veramente forte e, per dono di Dio, assai prudente e conobbe che ella non avrebbe chiamato per nome uno che non aveva mai visto e di cui non aveva mai sentito parlare se non fosse stata illuminata con chiarezza dalla grazia della Provvidenza. Fece, poi, in fretta ciò che gli aveva comandato e, spogliatosi del mantello di cui era rivestito, voltandole le spalle glielo gettò. Ella, prendendolo, coprendo per quanto poteva la parte del corpo che bisogna sia coperta più delle altre, se ne cinse e rivolta a Zosima gli disse: “Che cosa ti è passato per la mente, Abba, di voler vedere una donna peccatrice? Cosa cerchi di vedere o di imparare da me, poiché non hai indugiato a sopportare una così grande fatica?”. Egli allora, prostrato a terra, domandava di ricevere la benedizione, secondo la consuetudine. Ma anche lei si prostrò a terra ed entrambi giacquero a terra, chiedendo l’uno la benedizione all’altra.

10. Dopo un intervallo di molto tempo la donna disse a Zosima: “Abba Zosima, a te compete benedire e pregare; tu, infatti, sei sostenuto dall’onore di presbitero e ormai da molti anni stai presso il santo altare e scruti, per dono, i segreti della divinità”. Queste parole indussero ancor più Zosima a un grande timore e a una grande lotta e l’anziano, tremando, versava gocce di sudore. Le disse poi, spossato di forze e quasi ormai senza respiro: “È ormai ben chiaro da ciò che ho visto, o madre spirituale, che tu sei giunta a Dio e che sei morta nella parte più ardente. È ben chiaro, poi, che a te la grazia è stata concessa più che a tutti, tanto che hai chiamato per nome me che non avevi mai visto. E poiché la grazia non la si riconosce dalla dignità che si ricopre, ma è solita esser indicata dalle opere delle anime, benedicimi, in nome di Dio, e concedimi la benedizione, per la clemenza della tua perfezione”. Allora, mossa a compassione dalla fermezza del santo anziano, disse: “Benedetto il Signore, che procura la salvezza delle anime” e dopo che Zosima ebbe risposto: “Amen” si alzarono entrambi da terra. E la donna disse all’anziano: “O uomo, per qual motivo sei venuto da me, peccatrice? Tuttavia, poiché certamente ti ha guidato la grazia dello Spirito santo perché tu renda un servizio confacente alla debolezza del mio corpo, dimmi: come viene governata oggi la stirpe dei cristiani? Come governano gli imperatori e come viene pascolato il gregge della santa Chiesa?”. Allora Zosima rispose con queste parole: “Madre, per le tue sante preghiere Dio ha elargito una pace stabile; ma accogli la supplica di un indegno monaco e nel nome del Signore prega per tutto il mondo e anche per me peccatore, affinché la fatica di questa corsa e di questo cammino, via di così grande solitudine, non diventi per me senza frutto”. E quella gli rispose: “Tu, o Abba Zosima, che — come ho detto — hai l’onore di presbitero, bisogna che preghi per tutti e per me; a questo, infatti, sei stato chiamato; ma poiché abbiamo il precetto dell’obbedienza farò di buona volontà ciò che da te mi è stato comandato”. E dicendo queste cose, rivolta a oriente, levati gli occhi verso l’alto e stendendo le mani cominciò a pregare in silenzio soltanto con il movimento delle labbra; e la voce quasi non la si udiva, così da poterla comprendere. Per cui anche Zosima non poté percepire nessuna parola della sua preghiera. Ed egli — come poi disse — se ne stava tremante, guardando a terra e senza parlare in alcun modo. Giurava, poi, portando Dio a testimone della sua parola, che vedendola perseverare in una lunga preghiera, alzati un po’ gli occhi dal guardare a terra la vide elevata da terra di quasi un cubito e pregare sospesa nell’aria. Appena vide questo, afferrato da grandissimo timore si prostrò a terra, inondato di sudore, e, spaventato all’estremo, non osava dir nulla, ma in sé stesso diceva: “Signore, abbi pietà di me”.
11. Mentre poi giaceva prostrato a terra, si scandalizzò nel suo animo, pensando che forse era uno spirito che stava fingendo di pregare. Allora la donna, voltatasi, sollevò il monaco dicendo: “Perché, Abba, i tuoi pensieri ti turbano fino a scandalizzarti di me, pensando che io sia uno spirito e che stia facendo una falsa preghiera? Siine certo, o uomo: io sono una povera donna peccatrice e tuttavia sono rivestita del santo battesimo; e non sono uno spirito, ma brace e cenere e tutta carne, incapace anche di richiamare alla mente un qualche pensiero spirituale”. Dicendo queste cose si segnò la fronte con il segno della croce e anche gli occhi e le labbra; e così, imprimendo simultaneamente anche sul petto il vessillo della croce, disse: “Dio, Abba Zosima, ci liberi dal Nemico e dai suoi attacchi, poiché egli ha molta invidia di noi”.
Udendo queste cose l’anziano si prostrò e afferrò i piedi di lei dicendo con lacrime: “Ti scongiuro, per il Signore Gesù Cristo, nostro vero Signore, che si è degnato di nascere da una vergine, per il quale hai rivestito questa tua nudità, per il quale non hai risparmiato questa tua carne, non nascondere nulla al tuo servo: chi sei e da dove e quando o per qual motivo sei venuta ad abitare questo deserto. Ma anche tutte le cose che ti riguardano dimmele, affinché attraverso di te siano manifestati i prodigi di Dio. Se la sapienza è nascosta, infatti, e il tesoro invisibile, a che servono l’uno e l’altra? — come sta scritto —. Dimmi tutto, in nome di Dio; tu infatti non parli per vanagloria o per ostentazione, ma per soddisfare me, peccatore e indegno. Confido, infatti, in Dio, per il quale vivi e con il quale anche parli: che, poiché per una cosa del genere sono stato guidato in questo deserto, Dio renda manifeste le cose che ti riguardano. Non è, infatti, in nostro potere opporci ai giudizi di Dio. Se non fosse gradito a Cristo Signore di manifestare te e come tu hai combattuto, non avrebbe neanche permesso che tu fossi vista da qualcuno, né mi avrebbe dato la forza di percorrere rapidamente tutto questo cammino, io che mai sono in grado di camminare e che non ho la forza di uscire dalla mia cella”.
12. Dopo che Zosima ebbe detto queste cose e molte altre ancora, facendolo alzare, la donna disse: “Io veramente arrossisco, perdonami, mio Abba, di narrarti la turpitudine delle mie azioni; tuttavia, poiché hai visto il mio corpo nudo, ti denuderò anche le opere del mio agire, affinché tu conosca quanto la mia anima sia piena della turpe lussuria e della vergogna della confusione. Non è, infatti, come tu stesso hai considerato, per una qualche gloria che voglio narrare ciò che mi riguarda. Di cosa, infatti, mi potrò gloriare, io che sono diventata vaso di elezione9 del diavolo? So, infatti, che se comincerò a narrare le cose che mi riguardano tu fuggirai da me come uno che fugge davanti a un serpente, incapace di ascoltare con le orecchie, a causa delle azioni illecite che ho compiuto. Te lo dirò, allora, senza rifiutarti niente, ma te le narrerò in gran verità, supplicandoti prima di non cessare di pregare per me, affinché meriti di trovare misericordia nel giorno del giudizio”. E l’anziano, con gli occhi soffusi di lacrime, piangeva.
Allora la donna cominciò a raccontare di sé, dicendo così:
13. “Io, o Abba, ho avuto come patria l’Egitto. Mentre ancora i miei genitori vivevano, al dodicesimo anno di età, disprezzando il loro affetto, andai ad Alessandria e arrossisco al solo pensare a come, dapprima, violai la mia verginità e a come poi giacqui, incessantemente e insaziabilmente soggiogata dal vizio della libidine. Non è cosa breve, infatti, parlarne, ma lo dirò Abbastanza rapidamente, affinché tu possa conoscere l’insaziabilità del mio ardore, che ho avuto per amore dell’amplesso. Diciassette anni e ancora di più ho trascorso giacendo pubblicamente nell’incendio della lussuria. Non è a motivo di qualche regalo che ho perso la mia verginità; non accoglievo nulla, infatti, da parte di quanti mi volevano fare dei regali; infatti, infiammata dall’ardore della libidine, questo pensavo: che il fatto di soddisfare gratuitamente il desiderio del mio amplesso e della mia scelleratezza li avrebbe fatti correre in numero molto più grande verso di me. Non pensare, però, neanche che non prendessi nulla perché fossi ricca: vivevo, infatti, mendicando o spesso filando della stoppa. Avevo, infatti, come ho detto, un desiderio irrefrenabile, così che incessantemente mi avvoltolavo nel letame della lussuria. E questo per me era piacevole e questa ritenevo vita: se incessantemente agivo nella violenza della natura. Mentre trascorrevo la vita in questo modo, una volta vidi durante l’estate una folla di libici e di egiziani che correva come verso il mare. Allora trovai uno e gli chiesi: ‘Verso dove vanno in fretta questi uomini che corrono?’. Mi disse: ‘Salgono tutti a Gerusalemme, per l’Esaltazione della santa Croce, che, come di consueto, si celebra fra alcuni giorni’. Io allora gli dissi: ‘Pensi che mi accoglieranno se vorrò andare con loro?’. Ed egli disse: ‘Se hai da pagare il viaggio nessuno te lo impedirà’. Gli dissi: ‘In verità, fratello, non ho né da pagare il viaggio né denaro alcuno. Ma andrò e salirò anch’io sulla nave. E se anche rifiutano darò me stessa; potranno prendere, infatti, come prezzo del viaggio, il mio corpo in loro potere’. Per questo, allora, volli andare con loro — Abba mio, perdona! —: per avere molti cooperatori alla passione della mia libidine”.
14. “Ti ho detto queste cose, o mio anziano signore; perdonami, non costringermi a dire la mia vergogna. Tremo infatti — lo sa il Signore! —, poiché queste mie parole macchiano anche l’aria”. Ma Zosima, bagnando la terra di lacrime, le rispose: “Di’, in nome di Dio, o madre mia, di’ e non tralasciare di continuare un così salutare racconto”.
Ella dunque, continuando la precedente narrazione, aggiunse queste cose: “Quel giovane, udendo la scurrilità delle mie parole, se ne andò via ridendo. Io allora, gettato via il fuso che tenevo in mano (di tanto in tanto, infatti, dovevo servirmene), corsi al mare dove avevo visto che quelli correvano e vidi un certo numero di giovani, una decina, che se ne stavano sulla riva, molto giovani di corpo e di volto e, per ciò che a me piaceva, ottimi. Ce n’erano poi anche altri, già saliti sulla nave. Impudentemente, allora, come era mia abitudine, mi presentai con irruenza in mezzo a loro dicendo: ‘Prendete anche me con voi dove dovete andare; vedrete che non vi dispiacerà’. E pronunciando anche altre parole più sporche mossi tutti al riso. Essi poi, vedendo che il mio atteggiamento non mi faceva arrossire, mi portarono sulla nave. E quindi cominciammo la navigazione. Le cose che sono avvenute dopo di ciò come potrò narrartele, o uomo di Dio? Quale lingua può dire o quale orecchio è capace di ascoltare ciò che avvenne sulla nave durante il viaggio? Come proprio io, intenzionalmente, costringevo a peccare i miseri che non volevano. È uno spettacolo inenarrabile e turpissimo, di quali scelleratezze allora divenni maestra per gli infelici. Ora dunque sii soddisfatto, poiché mi stupisco di come il mare sostenne le lussurie delle mie iniquità, di come la terra non apri la sua bocca per farmi precipitare viva all’inferno, io che ho spinto tante anime infelici nel laccio della morte. Ma, come credo, Dio che non vuole che alcuno perisca ma che tutti siano salvi10, richiedeva la mia penitenza. Non vuole, infatti, la morte del peccatore, ma longanime aspetta, attendendo la conversione11. E così, allora, in gran fretta salimmo a Gerusalemme e per tutti i giorni in cui prima della festa mi trattenni nella città andai vagando in simili turpissime azioni, e anche in peggiori. Non mi bastarono, infatti, i giovani che lungo il viaggio sul mare avevano consumato con me atti di lussuria, ma, associando molti altri pellegrini e cittadini alla scelleratezza del mio operare, li sedussi infangandoli.”
15. “Quando poi giunse la festa della santa Esaltazione della preziosa croce io, allora come prima, continuavo a prendere al laccio e a carpire le anime dei giovani. Vidi poi, al primo chiarore dell’alba, che tutti correvano, unanimemente, alla chiesa. Andai anch’io, correndo insieme ad essi che correvano e giunsi con loro sull’atrio della chiesa; e, giunta l’ora dell’Esaltazione della divina Croce, spingevo ed ero spinta e, in certo modo, anche respinta e affrettandomi entrai con il popolo. Fino alla porta della chiesa ero pressata insieme a coloro che entravano, mentre mi avvicinavo anch’io, infelice, con grande tribolazione per la fatica. Ma quando volli entrare, mentre tutti costoro entravano senza impedimento, io invece ne ero come impedita da una forza divina che non mi permetteva di entrare. Subito respinta, dunque, fui scacciata fuori e, scacciata, mi ritrovai sola nell’atrio. Considerando allora che questo mi accadeva a causa della debolezza femminile, mescolandomi di nuovo con altri facevo in certo qual modo forza per entrare, ma in verità mi affaticavo invano”.
16.“Non appena, infatti, toccavo con il piede la soglia, tutti venivano accolti all’interno, senza che nessuno trovasse ostacolo; io sola non ero accolta, ma come se un esercito di soldati fosse stato pagato per chiudermi l’accesso quando entravo, così improvvisamente una certa forza me lo impediva e di nuovo mi ritrovavo nell’atrio. Dopo aver patito questo e dopo aver provato a farlo e tre e quattro volte senza per nulla andare avanti, ormai disperando per l’avvenire e non essendo più in grado di continuare (poiché il mio corpo, per la forza di coloro che mi pressavano, era tutto rotto), ritornando indietro mi allontanai e stetti in un angolo dell’atrio della chiesa; e con fatica, alla fine, mi fu chiaro per qual motivo mi veniva proibito di vedere il vivificante legno. La conoscenza della salvezza, infatti, toccò la mia mente e gli occhi del mio cuore mentre riflettevo che erano le squallide scelleratezze delle mie azioni a precludermi la possibilità di entrare. Cominciai allora, piangendo, a essere fortemente turbata e a battermi il petto e, emettendo sospiri dal profondo del cuore e gemendo e lamentandomi a gran voce, guardai, dal luogo dove mi trovavo, l’immagine della santa Madre di Dio che si trovava lì in alto e guardando ad essa e ad essa incessantemente rivolta dissi: ‘Vergine Sovrana, che hai generato Dio secondo la carne, so che né si addice né è opportuno che io adori o contempli la tua temibile immagine con occhi macchiati da così grandi sozzure, tu che sappiamo essere vergine e casta, tu che hai il corpo e l’anima immacolati: è giusto che io, lussuriosa, sia respinta e scacciata dalla purezza della tua castità. Tuttavia, poiché, come ho udito, per questo Dio si è fatto uomo, lui che tu stessa degnamente hai generato: per chiamare i peccatori a penitenza, aiuta me, solitaria e che non ho nessun aiuto, raccogli la mia confessione e concedimi il permesso di entrare attraverso la porta aperta della chiesa e non sarò esclusa dalla visione del preziosissimo legno, su cui è stato affisso il Dio-uomo, che tu stessa, dopo aver concepito, hai partorito restando vergine e che ha dato il suo sangue per la mia liberazione. Comanda, o signora, e a me, indegna, sia aperta la porta, per la salvezza della divina croce; e prendo te, dalla quale è stato generato Cristo, come degnissima garante che mai più macchierò la mia carne con le orrende sozzure degli accoppiamenti, ma appena avrò visto il legno del tuo Figlio, o Vergine santa, rinuncerò al mondo e alle sue opere e a tutte le cose che sono in esso e subito uscirò dovunque tu stessa, come mia protettrice, mi condurrai’”.
17. “Dopo aver detto queste cose e come ricevendo un esaudimento, accesa dall’ardore della fede e confidando nelle viscere di pietà della Madre di Dio, mi mossi dal luogo dove avevo fatto la preghiera e andai a mescolarmi di nuovo a quanti entravano e non c’era più chi mi respingesse né chi mi impedisse di avvicinarmi alle porte da cui entravano nella chiesa. Mi prese dunque un forte timore e trasporto ed ero tutta turbata e tremante per tutte queste cose. E così, avendo raggiunto la porta il cui accesso prima mi era stato chiuso (come se tutta quella forza che prima mi impediva di entrare ora, invece, mi preparasse la via per entrare), entrai senza la fatica di nessun ostacolo e mi ritrovai dentro il santo dei santi e fui ritenuta degna di adorare il mistero del prezioso e vivificante legno della croce. E allora conobbi i misteri di Dio e come egli è pronto ad accogliere i penitenti. Allora, dopo essermi gettata a terra e aver baciato quel santo pavimento, uscii. Corsi, allora, da colei che mi era stata protettrice, mi fermai e stetti lì. Raggiunsi quel luogo dove era scritta la formula del giuramento e piegando le ginocchia davanti al volto della santa vergine Madre di Dio la supplicai con queste parole: ‘Tu certo sempre, o benevolentissima Sovrana, hai manifestato la misericordia della tua pietà: tu non hai rigettato una supplica indegna; ho visto la gloria che da peccatori, giustamente, non vediamo, la gloria del Dio onnipotente che attraverso di te suscita la conversione dei peccatori. Che cosa di più io, peccatrice e misera, posso ricordare o narrare? È tempo di compiere ciò che ho giurato, con il beneplacito del tuo amore fedele. Ora conducimi là dove a te piace. Sii tu guida di salvezza e maestra di verità, accogliendomi sulla via che conduce alla penitenza’. E dicendo queste cose udii la voce di qualcuno che gridava di lontano: ‘Se passerai il Giordano troverai un felice riposo’.
“Io allora, udendo questa voce e avendo fede che fosse venuta per me, levai alte grida piangendo e rivolsi la mia voce alla Madre di Dio guardando la sua immagine: ‘Sovrana, signora, regina di tutto il mondo, per mezzo della quale la salvezza ha raggiunto il genere umano, non abbandonarmi’. E dicendo queste cose uscii dall’atrio della chiesa e cominciai a camminare in fretta. Mentre poi uscivo, uno mi vide e mi diede tre monete, dicendo: ‘Prendi queste, madre’; io allora le presi, ci comprai tre pani e li accolsi come segno di benedizione per il mio viaggio. Chiesi a colui che vendeva i pani: ‘Per dove si va e qual è la via, o uomo, che porta ai Giordano?’. E saputa qual era la porta della città che andava da quella parte, correndo mi misi in viaggio piangendo.”
18.“Facendo, poi, domanda su domanda, trascorsi il resto del giorno percorrendo in fretta il cammino: era l’ora terza del giorno quando meritai di vedere la preziosa e santa croce. E quando ormai il sole volgeva al tramonto scorsi la chiesa di Giovanni Battista, che stava presso il Giordano; ed entrata in quel santuario per adorare, scesi subito al Giordano e con quell’acqua santa mi lavai le mani e la faccia. Comunicai poi ai vivificanti e purissimi sacramenti di Cristo Signore, nella stessa santa basilica di Giovanni precursore e battezzatore e allora mangiai metà di un pane e bevvi dell’acqua del Giordano, coricandomi, per la notte, sulla terra. Appena si fece luce, il mattino dopo, passai dall’altra parte e di nuovo chiesi alla mia guida che mi portasse dove a lei piaceva. Giunsi allora in questo deserto e da allora fino a oggi mi sono sempre allontanata fuggendo e nell’attesa del mio Dio, che salva i piccoli e i grandi che si convertono a lui.”
Zosima allora le disse: “Quanti anni sono passati, o mia signora, da quando abiti in questo deserto?”. Rispose la donna: “Sono passati quarantasette anni, mi sembra, da quando sono uscita dalla città santa”. Le disse allora Zosima: “E che cosa hai potuto trovare per mangiare o che cosa trovi, o mia signora?”. Rispose la donna: “Passai il Giordano portando con me due pani e mezzo, che dopo un po’ si seccarono e si indurirono come pietre e mangiandone un po’ sono arrivata a trascorrere alcuni anni”. Disse poi Zosima: “E così hai trascorso senza dolore un tempo tanto lungo? Non hai sentito l’ardore dell’improvviso mutamento e del turbamento?”. Ella disse: “Mi chiedi ora una cosa a parlare della quale tremo molto se ripenso agli enormi pericoli che ho sostenuto e ai pensieri che in modo iniquo mi turbavano; temo infatti di patire da parte di essi qualche tribolazione”. Disse Zosima: “Non tener nascosto nulla, o signora. Una volta, infatti, che per volere di Dio ti abbiamo conosciuta, bisogna che tu ci istruisca su tutto senza omettere nulla”.
19.Ella allora gli disse: “Credimi, Abba, che lottai per diciassette anni con le bestie selvagge e con i desideri irrazionali: quando cominciavo a mangiare desideravo la carne, bramavo i pesci che aveva l’Egitto, desideravo anche un vino che mi fosse piacevole; molto, infatti, mi ero dilettata nel vino e bevevo in grande abbondanza fino all’ebbrezza e ora lo desideravo davvero molto, poiché mentre ero nel mondo ne avevo fatto grande uso. Qui, poi, non avendo affatto acqua, ardevo con gran veemenza e ho sopportato la necessità fino al pericolo. Mi veniva un enorme desiderio dei canti lussuriosi, che mi turbava e mi spingeva a cantare a memoria i canti diabolici che avevo imparato nel mondo. Subito allora, piangendo e battendomi il petto, richiamavo alla memoria il consapevole giuramento che avevo fatto uscendo verso questo deserto. Andavo poi, con il pensiero, davanti all’immagine della santa Madre di Dio, che mi aveva accolta nella sua fedeltà e davanti a lei piangevo perché facesse fuggire da me i pensieri che affliggevano la mia anima. Quando poi versavo lacrime in abbondanza e con dolore, e con forza mi battevo il petto, allora vedevo una luce che mi circondava dappertutto e subito una certa serenità diventava stabile in me. I pensieri, poi, che mi spingevano di nuovo alla fornicazione, come te li posso narrare? Abba, perdona. Il fuoco accendeva dall’interno il mio corpo infelice e ardevo tutta, trascinata al desiderio dell’amplesso. Quando dunque mi assaliva tale pensiero, mi prostravo a terra, versando lacrime amare e sperando che la mia celeste protettrice venisse in mio aiuto per impedirmi di essere trascinata dall’impeto della violenza fino alla trasgressione; ponevo davanti ai miei occhi le pene della trasgressione, che incombevano su di me per i miei crimini. Non mi alzavo da terra, infatti, prima che quella dolcissima luce mi illuminasse come di consueto e mettesse in fuga i pensieri che mi turbavano. E così sempre alzavo senza posa i miei occhi verso la mia protettrice, supplicandola che mi aiutasse in questo deserto e in questa penitenza. L’ho avuta dunque come aiutante e come compagna, lei che ha generato l’autore della castità e così per diciassette anni, con molti espedienti — come ho detto — ho lottato fino a oggi. Da allora, dunque, la Madre di Dio, mio aiuto, mi ha assistita guidandomi in tutto e per tutto”.
Disse poi Zosima: “Non hai avuto cibo o vestito?”. Rispose: “Sì, quei pani, come ho già detto, per un tempo di diciassette anni; poi mi sono nutrita delle erbe che si trovano nel deserto. La veste che avevo, poi, una volta passato il Giordano si lacerò e si consumò, perché troppo vecchia. Ho patito, dunque, molto per il freddo gelido e per il bruciore dell’arsura; sono stata bruciata dall’incendio dell’arsura e intirizzita e tremante per il freddo intenso nel tempo del gelo; cadendo sovente a terra senza alito di vita giacevo immobile, lottando contro molte e varie necessità e immense tentazioni. La forza di Dio ha custodito fino a questo giorno, attraverso tutte queste cose, in molti modi, la mia misera anima e il mio corpo. Ricordando, infatti, da quali mali il Signore mi ha liberata, mi sono nutrita di un cibo che non si consuma e possiedo vivande che saziano: la speranza della mia salvezza. Mi nutro, poi, e mi copro con l’abito della parola di Dio, che racchiude tutte le cose12. Non di solo pane, infatti, vive l’uomo13 e senza avere un vestito sono avvolti dal mantello della pietra coloro che si sono spogliati della tunica del peccato”.
20.Zosima allora, udendola parlare con parole della Scrittura, cioè dai libri di Mosè e del beato Giobbe o dai Salmi, le disse: “Hai imparato i Salmi, o madre, o hai letto altri libri della Scrittura?”. All’udire ciò, sorridendo gli disse: “Credimi: non ho visto uomo da quando ho passato il Giordano se non te oggi, e nemmeno una bestia feroce né un qualsiasi altro animale da quando sono venuta in questo deserto. A leggere non ho mai imparato da nessuna parte, e neanche ho ascoltato qualcuno che salmodiasse o che leggesse. Ma la parola di Dio, viva ed efficace15, ammaestra dall’interno l’intelligenza umana. Fin qui le cose che mi riguardano. Ma ora chiedo a te, per l’incarnazione del Verbo di Dio, di pregare per me, lussuriosa”. E quando ebbe detto queste cose l’anziano corse e piegando le ginocchia si prostrò a terra, alzando la voce e dicendo: “Benedetto il Signore Dio che, solo, fa grandi meraviglie, gloriose e veramente stupende, da non potersi contare16. Benedetto sei tu, Signore Dio, che mi hai mostrato quali grandi cose doni a coloro che ti temono. Davvero, infatti, non Abbandoni chi ti cerca, Signore”. Ma lei, afferrando l’anziano, non permise che si prostrasse completamente a terra, ma gli disse: “Le cose che hai udito, o uomo, ti scongiuro per il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo: non dirle a nessuno finché Dio non mi sciolga dal vincolo della carne. Ma se accoglierai tutte queste cose nella pace, in questo stesso tempo l’anno prossimo ti apparirò di nuovo e mi vedrai, se la grazia di Dio ci guida. Fa’, allora, per il Signore, ciò che ora ti ordino: che per i sacri digiuni che ricorreranno l’anno prossimo tu non passi il Giordano, come avete consuetudine di fare nel monastero”. Zosima si stupiva, udendo che senza conoscere la regola del monastero parlava come se la conoscesse; e non gridava nient’altro se non: “Gloria a Dio, che a coloro che lo amano dona cose più grandi di quelle che gli sono chieste”.
Lei poi disse: “Aspetta — come ho detto — nel monastero, o Abba; e se anche vorrai uscire per andare da qualche parte non ne sarai in grado. La sera santissima, poi, della cena del Signore, prendi in un vaso sacro e degno di tanto grande mistero una porzione del divino corpo e del vivificante sangue e aspettami dalla parte del Giordano che unisce al mondo e io, venendo, prenderò i doni della vita. Da quando, infatti, mi comunicai nella chiesa del beatissimo Precursore, prima di passare il Giordano, da allora fino a oggi non mi sono mai comunicata, mai fino a ora ho fatto uso della porzione di santità; e ora, ti supplico, non disprezzare la mia richiesta, ma portami in ogni modo questi vivificanti e divini misteri nell’ora stessa in cui il Signore rese partecipi i discepoli della cena divina. A Giovanni, poi, abate del monastero in cui abiti, di’: ‘Abbi cura di te stesso e del tuo gregge; vi accadono infatti alcune cose che hanno bisogno di correzione’. Non voglio, però, che tu gli dica ora queste cose, ma quando Dio te lo comanderà”.
Dopo aver detto questo e aver chiesto all’anziano la benedizione, si affrettò con gran rapidità verso l’interno del deserto.
21. Zosima, allora, prostrandosi, baciava la terra di quel luogo in cui erano state le sue impronte, dando gloria a Dio; e rendendo immensamente grazie fece ritorno, lodando e benedicendo il Signore nostro Gesù Cristo. Di nuovo, poi, ripercorrendo l’itinerario di quel deserto attraverso cui era venuto, si ricongiunse al monastero nel preciso momento in cui erano soliti riunirsi coloro che vi dimoravano. E per tutto quell’anno tacque, senza osare minimamente dire qualcosa di ciò che aveva visto; in se stesso, poi, supplicava Dio che gli mostrasse di nuovo quel volto desiderabile. Sospirava, poi, considerando quanto fosse lungo quell’anno.
Quando poi giunse e iniziò la prima sacra domenica dei digiuni, subito dopo la consueta preghiera alcuni di coloro che salmodiavano uscirono; egli invece, trattenuto dalla debolezza per un po’ di febbre, rimase all’interno del monastero. Zosima allora si ricordò che gli era stato predetto da quella santa che anche volendolo non sarebbe stato in grado di uscire. Trascorsi poi alcuni giorni, ripresosi dalla debolezza, viveva nel monastero. Quando i monaci ritornarono, la sera della santa cena, fece ciò che gli era stato comandato e, mettendo in un piccolo calice una porzione dell’incontaminato corpo e del prezioso sangue del Signore nostro Gesù Cristo, pose in un canestro un po’ di fichi, dei frutti di palma, cioè dei datteri, e un po’ di lenticchie bagnate in acqua. Giunse verso sera e si sedette lungo la riva del Giordano, aspettando la venuta della santa. Ma poiché quella donna beatissima tardava, Zosima non si addormentò, ma con sollecitudine guardava attentamente verso il deserto, attendendo ciò che desiderava vedere. Diceva poi in se stesso: “Forse è venuta e non mi ha trovato ed è andata via?”. Dicendo queste cose piangeva e alzando gli occhi al cielo scongiurava Dio con suppliche, dicendo: “Non impedirmi, Signore, di rivedere colei che mi hai concesso di vedere. Non me ne vada via vuoto, portando a mio rimprovero i miei peccati”.

22.Mentre, pregando, diceva queste cose con lacrime, gli venne in mente un altro pensiero: “E se viene che cosa farà? Come passerà il Giordano, poiché non c’è una barca? Come giungerà a me, indegno? Oh me infelice! Oh, chi mi ha escluso dalla visione di una tale bellezza?”. E mentre l’anziano pensava queste cose ecco la santa venne e si fermò dall’altra parte del fiume, da dove era venuta. Zosima allora, vedendola, si alzò pieno di gioia ed esultando grandemente glorificava Dio. Nell’intimo del suo pensiero, poi, si agitava un’inquieta lotta, per il fatto che non poteva attraversare i flutti del Giordano. E l’anziano, guardando, vide lei che imprimeva il segno della croce sulle acque del Giordano. Lo splendore della luna, infatti, illuminava le tenebre dell’intera notte, poiché era il tempo del suo calare. Appena, poi, vi ebbe fatto il segno della croce, salì sulle acque e camminando sul flutto liquido dell’acqua veniva come su di un sentiero solido. Mentre Zosima, stupito, cercava di piegare le ginocchia, lei, gridando da sopra le acque, glielo proibì dicendo: “Che fai, Abba? Sei un ministro di Dio, infatti, e inoltre porti i divini sacramenti!”. Egli subito obbedì alle sue parole. Lei dunque, discendendo dalle acque, disse all’anziano: “Benedicimi, Abba, benedicimi”. Egli allora in tutta fretta (un estremo stupore, infatti, lo aveva invaso per tanto glorioso miracolo) rispose e disse: “Veramente Dio non ha mentito quando ha promesso che coloro che purificano se stessi sarebbero stati simili a lui. Gloria a te, Cristo nostro Dio, che mi hai mostrato per mezzo di questa tua serva quanto nel valutarmi io sia al di sotto della misura della vera perfezione”.
Mentre egli diceva queste cose la donna chiese che dicesse il santo Credo e che desse inizio alla preghiera del Signore e, terminato il Padre nostro, la santa, come è consuetudine, offrì all’anziano il bacio della pace; e così, accogliendo i vivificanti doni dei sacramenti, stendendo le mani al cielo e gemendo con lacrime, gridava: “Ora lascia, o Sovrano, che la tua serva vada in pace secondo la tua parola, poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza19”. E disse all’anziano: “Perdona, Abba, e adempi un altro comando della mia richiesta: va’ ora al monastero, guidato dalla pace di Dio; questo stesso giorno dell’anno che viene va’ di nuovo a quel torrente presso il quale ti parlai la prima volta. Qualunque cosa avvenga non tralasciare di farlo, ma, per il Signore, vieni e mi vedrai di nuovo, come Dio vorrà. Egli allora le rispose: “Oh se fosse possibile seguire ora le tue orme e fruire della visione del tuo preziosissimo volto! Ti prego, madre, adempi a una sola piccola richiesta di questo anziano e degnati di prendere un po’ del cibo che qui ti ho portato”. E dicendo queste cose le mostrò il canestro che aveva portato con sé. Lei, allora, toccò con la punta delle dita le lenticchie e prendendo tre grani se li portò alla bocca, dicendo che era sufficiente la grazia dello Spirito per custodire senza macchia la sostanza dell’anima. Allora disse all’anziano: “Prega per me, in nome di Dio, e ricordati sempre della mia miseria”. Egli, toccando i suoi santi piedi, supplicava con lacrime che pregasse per la chiesa e per l’Impero e per lui e così la lasciò andare piangendo e levando alti lamenti. Non osava, infatti, trattenere molto lei che neanche se avesse voluto poteva esser trattenuta.
23.Lei, dunque, facendo sul Giordano il segno della croce, salì camminando sull’elemento liquido e passò così come prima aveva fatto venendo. L’anziano, allora, ritornò pieno di gioia e di tremore. E si rimproverava, pentendosi, di non aver chiesto, per conoscerlo, il nome della santa; sperava tuttavia di farlo l’anno successivo.
24.Trascorso, poi, il tempo di quell’anno, andò di nuovo nella vasta solitudine del deserto e, avendo compiuto tutto secondo la consuetudine, si affrettava per vedere quella gloriosa visione. E poiché egli, inoltrandosi nel deserto, non trovava nessun segno che indicasse il luogo desiderato, guardava a destra e a sinistra, volgendo lo sguardo degli occhi e guardando attorno dappertutto, come un velocissimo cacciatore che debba catturare una lievissima preda. Quando poi non vide assolutamente nulla muoversi da nessuna parte, cominciò a piangere e versare lacrime. Allora, alzando gli occhi, pregò dicendo: “Ti scongiuro: mostrami, Signore, l’angelo incarnato, a cui il mondo intero è indegno di essere paragonato”.
25. Mentre pregava così giunse al luogo che era stato indicato come simile a un torrente e all’estrema parte superiore di esso vide il sole che splendeva; e guardando vide il corpo morto della santa che giaceva e le mani composte come si conviene e il corpo disteso che guardava a oriente. Correndo, allora, lavò di lacrime i piedi della beatissima; non osava, infatti, toccare altro membro del corpo. Dopo aver pianto, poi, a lungo e aver recitato dei salmi adatti al momento e alla situazione, recitò la preghiera della sepoltura e pensò fra di sé: “Forse non piacerà alla santa che lo faccia”. Mentre pensava tali cose vi era una scritta disegnata sulla terra, dove si leggeva: “Seppellisci, Abba Zosima, il piccolo corpo della misera Maria. Restituisci alla terra ciò che è suo e aggiungi polvere alla polvere. Prega, soltanto, nel nome del Signore, per me che sono morta in questo primo giorno del mese di Farnuti secondo gli egiziani, che secondo i romani è il quinto prima delle idi di aprile, il giorno della salvifica passione, dopo la comunione alla divina e sacra cena”.
26. Lette queste parole, l’anziano cominciò a pensare anzitutto chi mai potesse averle scritte: lei, infatti, come aveva detto, non sapeva scrivere. In tutto ciò comunque, gioiva esultando grandemente, poiché era venuto a conoscenza del suo santo nome. Pensò, allora, che non appena ella aveva partecipato ai divini misteri al Giordano, in quello stesso momento era giunta in quel luogo, dove subito era passata da questo mondo; e quello stesso viaggio che Zosima a stento aveva compiuto camminando con fatica per venti giorni, Maria lo aveva compiuto in una corsa di un solo momento e subito era migrata verso il Signore. Glorificando, poi, Zosima il Signore e bagnando il corpo di lei di lacrime disse: “È tempo, o misero Zosima, di portare a compimento ciò che devi. Ma come farò, me infelice, poiché non ho nulla per poter scavare? Manca il sarchiello, non c’è un rastrello e non ho proprio nulla fra le mani”. Mentre in cuor suo diceva queste cose vide a terra un piccolo e modesto legno: presolo, cominciò a scavare. La terra era veramente molto dura ed estremamente resistente ed egli non era assolutamente in grado di scavare, anche perché aveva fatto digiuno ed era stanco per la fatica del lungo cammino. Penava, infatti, si affannava con molti sospiri e, bagnato fradicio di sudore, gemeva pesantemente dal profondo del suo cuore. E guardando vide un leone grandissimo che stava vicino al corpo della santa e che le leccava i piedi. Vedendolo si mise a tremare per l’enorme paura di quella fiera, soprattutto perché aveva udito la santa donna dire che non aveva mai visto una fiera. Con il segno della croce, allora, prese forza, avendo fede che la virtù di lei morta era senz’altro capace di custodirlo intatto. Il leone, poi, cominciò a far cenni all’anziano, salutandolo con gesti blandi. Zosima allora disse al leone: “Poiché sei venuto mandato da Dio, o eccelso tra le fiere, affinché il corpo di questa serva di Dio sia affidato alla terra, esegui l’opera dovuta, perché si possa seppellire il suo corpo. Io, infatti, consumato dalla vecchiaia, non sono in grado di scavare, ma non ho neanche qualcosa di adatto per compiere quest’opera; e non sono in grado di affrettarmi di nuovo in un viaggio così lungo per andare a prenderlo. Tu, per comando divino, fa’ quest’opera con le unghie, così che affidiamo alla terra questo santo corpo”.
27. Subito, allora, dopo le parole dell’anziano, il leone fece con le zampe una fossa, grande quanto poteva bastare a seppellire il piccolo corpo della santa. L’anziano, allora, dopo aver lavato i piedi della santa con le lacrime e dopo aver ripetutamente pronunciato su di lei l’orazione, alla presenza del leone ricoprì di terra l’esile corpo nudo, rimasto com’era in occasione del primo incontro, con indosso solo quel mantello lacero che Zosima in precedenza le aveva gettato e con cui Maria aveva coperto le membra del suo corpo. Poi insieme tornarono indietro: il leone se ne andò all’interno del deserto come una pecora mansueta e Zosima se ne ritornò benedicendo e lodando Dio e cantando un inno di lode a Cristo nostro Signore. Arrivando poi al cenobio, riferì tutte le cose dall’inizio e non nascose nulla di tutto ciò che aveva visto e udito affinché tutti, udendo le meraviglie di Dio, ammirassero con estremo stupore e celebrassero con timore e amore in grande fede il giorno del transito della beatissima santa.
L’abate Giovanni, poi, trovò che alcuni avevano bisogno di correzione, secondo le parole di quella santa e, per la misericordia del Signore Dio, li convertì.
Zosima, poi, in quello stesso monastero compì i cento anni e allora migrò al Signore nostro Gesù Cristo, a cui, con il Padre, è la gloria e l’onore e la potenza, insieme con lo Spirito santo, vivificatore e degno di adorazione, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

