La Gerondissa Charithea – Un cuore aperto per ogni “Cristo” (1915 – 13/04/2000)

La beata Gerondissa Charitea, al secolo Eleni Chatzicharou, nacque nel 1915 nel villaggio di Athienou ed era la seconda dei cinque figli della sua famiglia. Completò la scuola elementare e successivamente aiutava nei vari lavori agricoli la sua famiglia, che si distingueva per la sua posizione sociale ed economica.

Il desiderio per la vita monastica

Fin dalla giovane età, il suo cuore ardeva dal desiderio di consacrare la sua vita a Cristo, seguendo la vita monastica, cosa molto insolita per la realtà cipriota dell’epoca, poiché fino ad allora non esisteva alcun monastero femminile cenobitico a Cipro.

Nel realizzare il suo desiderio, incontrò una grande opposizione da parte dei suoi genitori, i quali la pressavano costantemente affinché si sposasse. A questo proposito, lei stessa scrive nel suo diario personale:

«Dal giorno in cui annunciai il mio proposito ai miei genitori, si aprì davanti a me un abisso impenetrabile. Non se lo aspettavano, non volevano sentire parlare di vita monastica, lo consideravano qualcosa di orribile e non esitavano a dirmi che li avevo offesi e che dovevo rinunciare. Giorno e notte vi era una guerra incessante. Io persistevo, loro cercavano di distogliermi, e vivevo in una continua tristezza, pregando Dio affinché mi illuminasse su cosa fare, poiché per me era come una morte. Avevo alla mia destra l’amore di Dio e alla mia sinistra l’amore dei miei genitori. Dio non lo vedevo, ma lo sentivo così vicino a me che non volevo allontanarmi, poiché una sorta di ebbrezza spirituale, una dolcezza ineffabile, una gioia indicibile inondavano il mio cuore, e il mio spirito esultava di letizia spirituale. Tuttavia, amavo immensamente anche i miei genitori. […] Ho opposto tutte le mie forze, ho lottato con vigore, al di sopra delle mie capacità umane. Il mio cuore era a pezzi. Ho sofferto molto. Notti intere insonne, con lacrime incessanti, e un dolore muto era la mia compagnia».

In quei momenti difficili della sua vita, la giovane Eleni trovava rifugio unicamente negli incontri segreti e nella corrispondenza riservata con il suo padre spirituale, il Geronta Makarios di Stavrovouni, il quale si distingueva tra i padri del suo monastero per la sua ricca attività spirituale. La Gerondissa Charitea scrive di lui in modo commovente:

«[…] Il mio beato padre spirituale mi diede così tanto coraggio e speranza con i suoi scritti […] Fu per me un vero padre spirituale, un sostegno e una consolazione per tutta la sua vita terrena, e a lui devo tutta la mia esistenza spirituale. Non lo dimenticherò mai…».

Allo stesso tempo, si dedicava interamente alla fervente preghiera, anche mentre lavorava nei campi. Scrive nel suo diario:

«Dio mio, se questa è la tua volontà e se mi hai destinata alla vita monastica, dammi conferma affinché io possa proseguire».

Passò del tempo, e lei, nell’attesa della risposta di Dio, trascorreva i suoi giorni pregando e aspettando il compimento del tempo.

La chiamata divina alla vita monastica

E in verità, la risposta di Dio giunse, e la mancanza di consolazione umana fu colmata dall’intervento della divina consolazione. La stessa beata Gerondissa descrive questo meraviglioso evento nel suo diario personale:

“Non dimenticherò mai la sua santa chiamata. Quando rievoco nella mia memoria quel giorno… fremiti di divina commozione mi attraversano e rimango estasiata davanti alla grandezza divina che vidi e della quale divenni partecipe, io, creatura indegna e tanto piccola… Era una domenica d’agosto del 1938. Salii al piano superiore per riposarmi fisicamente e per mettere ordine nei miei pensieri, che erano tanto turbati e in conflitto tra loro […] Per quanto ci provassi, mi era impossibile anche solo minimamente calmare il mio spirito agitato. Scoppiai in un pianto incessante e poi in una preghiera piena di contrizione… Il mio spirito si acquietò e una sorta di sonno mi colse. Mi parve di sentire come un mormorio di vento, come se si agitassero le canne, e questo attirò la mia attenzione verso la direzione da cui proveniva il suono. In effetti, era un vento all’inizio, e mentre guardavo in quella direzione, si aprì davanti a me uno spettacolo maestoso. Insieme al vento apparve un uomo vestito con paramenti sacerdotali, giovane e bello, vestito di bianco con croci azzurre sul felonio. Non toccava terra. Veniva verso di me come se volasse, come se scivolasse. Il vento scompigliava i suoi capelli e la sua barba, e il suo volto era raggiante di gioia. Giunse vicino a me, mi superò di un passo, sollevò un grande crocifisso e mi disse: “Seguimi”. Proseguì con il vento, e si udì un canto sacro da miriadi di voci. Poi la visione svanì. Mi svegliai e mi ritrovai inginocchiata. Scoppiai in singhiozzi… Gridavo: “Vengo, Signore, vengo” e piangevo… Da quel giorno, un solo pensiero occupava la mia mente: come riuscire a liberarmi dal mondo e trovarmi sola in una cella con quattro mura, per godere della presenza del mio Dio».

La Gerondissa «rivestita delle armi di Cristo»

Da allora, come racconta la beata Gerondissa, si pose sotto la bandiera della Croce e prese la decisione definitiva di seguire la vita monastica. Mise in ordine tutte le sue questioni, aiutò nell’inserimento sociale dei suoi fratelli, riuscì in qualche modo a far cambiare idea ai suoi genitori e così, nel 1945, abbandonò il mondo e si recò nel monastero idioritmico della Trasfigurazione del Salvatore a Kaimakli, poiché all’epoca non esisteva alcun monastero femminile cenobitico a Cipro.

Nel 1949, nel Sacro Monastero di Stavrovouni, ebbe la grazia di ricevere il Grande e Angelico Abito e prese il nome di Charithea. Le parole che scrisse nel suo diario riguardo a quel giorno, così come tutta la sua vita, rivelano il suo spirito coraggioso e combattivo, che fu sempre un tratto distintivo del suo carattere. Scrive a riguardo:

«Ora, come soldato di Cristo, rivestita delle armi di Cristo, scendo nell’arena della lotta, decisa a morire nella battaglia piuttosto che cedere alle suggestioni del nemico, dal quale, come ho sentito durante la mia tonsura, non troverò pace».

Piena di entusiasmo spirituale, come lei stessa racconta, costruiva con la sua immaginazione torri e vedeva da vicino ciò che era lontano e le vie impervie come agevoli. Tuttavia, molto presto si rese conto che la situazione spirituale nel monastero non la soddisfaceva a causa del suo carattere idioritmico e della mancanza di una vera amministrazione. Per questo, la sua preghiera e il suo ardente desiderio erano di lasciare quel luogo e di essere degna di vivere in un monastero cenobitico, come aveva sempre sognato.

Nel monastero di Sant’Eraclidio

Diciotto lunghi anni di pazienza e perseveranza furono necessari perché arrivasse la pienezza del tempo. Così, nel 1962, con il permesso dell’allora Arcivescovo di Cipro, Makarios III, alla Gerondissa e ad altre due sorelle, Theofana ed Eupraxia, fu assegnato il Monastero di Sant’Eraclidio, che fino ad allora era in stato di rovina, con lo scopo di restaurarlo e riaprirlo come cenobio.

Monastero di Sant’Eraclidio

«Quando venimmo per la prima volta a vederlo», scrive la beata Gerondissa, «mi prese un senso di timore. Antico, diroccato, disabitato… senza porta d’ingresso, senza acqua, senza strada, senza luce… senza cucina e senza tutto ciò che serve per vivere. Lo ricordo e mi stupisco del coraggio che, senza dubbio, era ravvivato dal desiderio e dall’aiuto di Sant’Eraclidio… Ci volle molto tempo per liberarci dai vari rettili… che si appropriavano con noi di uova, pane e legumi… Molti giorni furono necessari per pulire il cortile dalle spine e la chiesa dalle ragnatele e dalle macchie d’olio… Lavoro quotidiano e grandi fatiche…»

Ben presto il numero della fratellanza aumentò e nel 1966 la Gerondissa Charithea assunse ufficialmente l’igumenato del Monastero.

«Mossa solo dall’amore», scrive, «ho assunto questa responsabilità senza calcolare la grandezza della difficoltà. Il cenobio e la presenza del padre spirituale mi davano coraggio e rendevano più leggere le difficoltà».

Con la sua anima coraggiosa, il carattere attivo e l’impeccabile spirito combattivo, con sacrificio e abnegazione, ricostruì il sacro e apostolico luogo della sua penitenza, donandogli pezzi del suo stesso cuore. Ogni cosa, animata e inanimata, nel monastero è intrisa delle lacrime delle sue preghiere e del sudore delle sue fatiche.

Durante il suo igumenato, il complesso monastico subì numerose riparazioni e ampliamenti. Le ali del monastero furono restaurate dalle fondamenta e ampliate. Il catholicon e il sinodicon furono restaurati e abbelliti. Furono costruiti laboratori, refettorio e foresteria (archondarico). Inoltre, venne edificata una cappella dedicata a San Giovanni Battista. Furono anche realizzati corridoi interni con pavimenti a mosaico, eseguiti dalle stesse monache del monastero.

Un cuore aperto per ogni “Cristo”

Oltre alla responsabilità della restaurazione e dell’ampliamento del monastero, per trentatré anni la Gerondissa portò anche la pesante croce della guida spirituale delle monache.

Con amore sconfinato, discernimento, umiltà e fedeltà alla tradizione patristica, cercava di plasmare Cristo nei cuori di ogni sorella. Un compito che richiedeva molta pazienza e grande longanimità, poiché ogni persona ha il proprio carattere e le proprie peculiarità.

Nel suo diario, la beata Gerondissa scrive:
«Perché un organismo spirituale si mantenga unito e progredisca, chi ne ha la responsabilità deve piangere con chi piange e gioire con chi gioisce. Deve scendere al livello di ogni fratello e avere la forza di rialzarlo dalla sua caduta, disponendo di tanto amore, molta pazienza e sapienza, per porlo di fronte al suo scopo e alle sue promesse davanti al Cristo Crocifisso. Non è affatto facile, perché pesano le eredità caratteriali, spesso anche la limitata capacità intellettuale, che rafforza l’egoismo, l’amor proprio, la testardaggine e fa prevalere l’orgoglio».

La beata Gerondissa Charithea allargò il suo cuore a tal punto da accogliere e farsi carico dei problemi, delle preoccupazioni e delle debolezze di ogni sua figlia spirituale. Inoltre, per il suo carattere, evitava l’imposizione autoritativa di regole, preferendo piuttosto risvegliare la filotimía (il desiderio di fare il bene con onore) e l’amore delle sorelle, offrendo se stessa come esempio da imitare, sia nella condotta esteriore che nel lavoro spirituale interiore.

Oltre alla cura della guida spirituale della sorellanza, la Gerondissa Charithea condivideva le necessità materiali e spirituali di chiunque bussasse alla sua porta in cerca di aiuto. Nonostante le preoccupazioni e le difficoltà dovute alle malattie che affrontò nel corso della vita, la sua porta e il suo cuore rimasero sempre aperti per ogni “Cristo”, come amava chiamare chiunque le chiedesse sostegno.

Sacerdoti, monaci e laici che ebbero la benedizione di conoscerla la rispettavano profondamente e la amavano, poiché la bellezza della sua anima irradiava dolcezza e semplicità, portando i frutti dello Spirito Santo. Attraversò la vita con molte tribolazioni, versando fiumi di lacrime, affrontando grandi difficoltà e opposizioni. Tuttavia, con il suo spirito coraggioso e le sue preghiere notturne incessanti, superava ogni ostacolo, confidando sempre nella Divina Provvidenza.

La fine santa della Gerondissa

Gli ultimi due anni della sua vita terrena li trascorse immobilizzata su una sedia a rotelle a causa di un problema alla colonna vertebrale. L’ultimo anno fu ancora più doloroso, poiché si aggiunsero le atroci sofferenze del cancro e le notti insonni a causa della dispnea. Ma anche questa prova la sopportò con immensa pazienza, silenzio e preghiera, senza mai lamentarsi, insegnando così la sua ultima lezione alle sue figlie spirituali.

Il 13 aprile 2000, giovedì del Grande Canono, si addormentò nel Signore con una morte santa.

La notte precedente, mentre le sorelle le leggevano il Grande Canone, ella rispondeva completando i versetti:
“Abbi pietà di me, o Dio, abbi pietà di me.”
Al mattino, fu sentita dire:
“Siano subito confusi e coperti di vergogna quelli che mi dicono: Bene! Bene!”
Poi, voltandosi a sinistra, sputò tre volte, lo fece una quarta con più forza e proseguì:
“Gioiscano ed esultino in te quelli che ti cercano; e quelli che amano la tua salvezza
dicano sempre: «Sia glorificato Dio! “

La preghiera fu la sua costante meditazione fino agli ultimi respiri.

Nel suo diario aveva scritto una preghiera che racchiude la profondità del suo amore per Cristo:


” Dio mio, Ti prego, io, la Tua umile serva. La Tua grazia e il Tuo aiuto, che ho sperimentato abbondanti per la Tua infinita misericordia, non smettere mai di donarmeli, affinché io possa portare la Tua Croce fino all’ultimo respiro, lavorare per la Tua gloria e rendermi degna della chiamata che ho ricevuto.
Rendimi santa, o Dio mio, nel corpo e nello spirito. Non abbandonarmi a causa dei miei peccati, consapevoli o inconsapevoli. Non trascurare la Tua povera, afflitta e scoraggiata serva. Non lasciarmi sola, o Dio, ai miei desideri, ma concedimi la Tua grazia, affinché rimanga con me fino alla fine.

Amato mio Gesù, mio puro Sposo, dolcissimo Sposo della mia anima, unico mio bene, continua meditazione della mia mente, dolcezza ineffabile della mia lingua, gioia indicibile della mia anima, aiutami a portare con pazienza la piccola fatica che ho assunto per Te, perché Tu sei Dio di misericordia e compassione, e a Te rendiamo gloria, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

Che la sua benedizione sia con noi.

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