La Grazia Guaritrice di San Porfirio il Kavsokalivita

Scrivo questa lettera spinto da un’intima necessità di parlare di Gheronda Porfirio. Ho vissuto tante esperienze con lui durante i 14 anni in cui sono stato uno dei suoi medici e sento che non devo nascondere ai miei fratelli tutto ciò che ho vissuto accanto a lui. Vi racconterò alcuni episodi che mostrano Gheronda Porfirio sia come malato che come guaritore. Mi scuso per gli elementi personali che inserirò in questi racconti e che, forse, potranno influenzarne l’esposizione. Sicuramente anche altri hanno vissuto esperienze meravigliose accanto a lui. Tutto ciò non deve perdersi, poiché è segno della sua vita santa, prova della presenza dello Spirito Santo nelle nostre vite e insegnamento per tutta la nostra vita.

Gheorghios Papazachos, prof. univ., medico cardiologo

Entravo sempre nella sua cella come medico incaricato di fare esami e diagnosi, ma il più delle volte era lui a fare la “diagnosi” a me. Racconterò due di questi episodi. Ero stato operato dal professor Vasilios Golematìs per due ernie inguinali simultanee. Sebbene fossi ancora in convalescenza, decisi di andare con mia moglie a trovare il Gheronda a Oropos. Non so se qualcuno dei miei amici gli avesse raccontato dell’operazione, ma appena arrivammo, mi guardò a lungo la pancia e poi mi disse: “Vedo che a destra l’operazione è riuscita, ma a sinistra non è altrettanto buona. Perché ci ha messo tanto da quella parte?”. Mia moglie mi guardò sorpresa, chiedendomi con lo sguardo: “Che dice Gheronda?”. Non avevo raccontato a nessuno, neanche a lei, che il medico aveva utilizzato a sinistra il nuovo metodo Shouldice, facendo un taglio più grande. Eppure Gheronda “vide” tutto questo…

Nel dicembre del 1990 ero costretto a letto per un’emorragia addominale. Mentre riflettevo se fosse necessario operarmi o no, squillò il telefono. Riporto esattamente le parole del padre:

“Questi giorni ti ‘visito’ spesso […]. Non sono mai ‘entrato’ così tante volte in casa tua in così pochi giorni… Qualcosa mi dice di non farti operare adesso, ma di cambiare il tuo stile di vita, di rilassarti. Vedremo più avanti se sarà necessario operarti o no. Ma non ora. E io ora faccio un po’ il medico con te? (ride). Riposati di più, perché la gente ti vuole bene. Mi hai preceduto (ride).”

Potete immaginare come mi sono sentito sotto questa sua protettiva presenza…

Amava moltissimo le persone che lo circondavano e, naturalmente, anche i medici; così ogni volta metteva in atto il suo dono di guarigione per noi. Spesso, quando andavo da lui, portavo con me amici intimi o parenti che rimanevano perplessi quando parlava loro dei loro problemi, senza che io gli avessi detto nulla in precedenza. Una signora addirittura mi fece giurare che non gli avevo raccontato nulla sui suoi problemi prima di andare a Oropos.

Il dono che Dio gli aveva dato lo rendeva particolarmente sensibile al dolore degli altri. Un pomeriggio, al tramonto, le monache entrarono nella stanza dove dovevo fargli un elettrocardiogramma, perché fuori si era radunata molta gente desiderosa di ricevere la sua benedizione prima di andarsene, dato che era ormai sera. Anch’io uscii dalla cella e vidi come la gente baciava la mano del padre. Era molto stanco e non diceva nulla a nessuno. L’ultima della fila era una donna che se ne andò piangendo. Quando rientrai, trovai Gheronda che piangeva anche lui.

“Questo è ciò che mi succede ogni volta,” mi disse. “Ora ho ‘visto’ questa povera madre che domani sarà picchiata dal figlio per farsi dare i soldi per comprarsi la droga. E forse la poveretta è uscita scandalizzata, senza ricevere alcun aiuto per il suo grave problema. Che cosa puoi fare, povero Porfirio? Signore, Gesù…”. E l’ho sentito ripetere più volte a bassa voce: “Gesù, Gesù…”.

[i] L’articolo è apparso nella rivista Sýnaxi nel gennaio 1992, a quaranta giorni dalla dipartita del padre Porfirio il Kavsokalivita

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