Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo (2 Pt 1, 11).
La festa della Trasfigurazione, purtroppo dimenticata per gran parte della nostra vita secolarizzata, è una grande festa e ci ricorda che la nostra vita è un cammino verso il regno di Dio. Insieme al Battesimo del Signore, che è la prima Teofania del Nuovo Testamento, la Metamorfosi è, in realtà, la seconda. Ci mostra che non crediamo in un’idea di un dio, una filosofia di un dio, un tipo di dio che cambia nel comportamento, né in un dio che ci promette semplicemente una ricompensa postuma, o in un individuo del tipo “brava persona”. Crediamo piuttosto in un Dio uno e Trino che, nella persona di Cristo, ha rivestito la natura umana, si è fatto uno di noi, per donarci la grazia di trasfigurarci in ciò che abbiamo sognato fin dall’inizio della storia: “che possiamo essere resi divini” (S. Atanasio il Grande).

La tradizione religiosa cerca di rispondere al grande dolore che chiamiamo “imperfezione umana” sottolineando il male e la morte. Senza saperlo, da qualche parte nel suo cuore, l’uomo sperimenta la risposta che la nostra tradizione spirituale dona: che siamo stati fatti a immagine di Dio e ci sforziamo di diventare la sua somiglianza.
La tradizione spirituale della nostra fede ci chiede di incontrare Cristo. Dobbiamo ascendere con lui un po’ più in alto che vedere questa vita con gli occhi del mondo, o, per così dire, della scienza e della filosofia umana, e dobbiamo lasciarci trasfigurare. Questa non è solo una trasfigurazione morale. Cristo non è stato trasfigurato in una persona migliore. Ci ha rivelato l’integrità della sua natura divina e umana, che attende tutti noi, per grazia, purché lo seguiamo e desideriamo erigere accanto a lui i nostri tabernacoli. I discepoli non erano le brave persone del loro tempo, ma erano quelli che volevano amare Cristo. Erano comunque persone con i propri caratteri, i propri difetti ed errori, ma anche con i propri progressi, come si è visto in seguito, quando hanno potuto affrontare la passione di Cristo e persino la sua risurrezione. Cristo è stato trasfigurato per mostrare una gloria diversa, quella del regno di Dio, in cui non hanno posto la morte, l’imperfezione, le passioni e gli errori; ma la luce sì. È un’ascesa e un’esperienza in cui il cuore batte eternamente per colui che ama. C’è gioia nell’incontro con il passato, espresso da Mosè, e con gli ultimi tempi, rappresentati dal profeta Elia, poiché non è morto. Entrambi erano presenti alla Trasfigurazione. C’è gioia per la voce del Padre, che è stata ascoltata come conferma dell’amore. C’è un’anticipazione dell’esperienza dello Spirito Santo, che adorna ogni cosa con la luce della gioia, dell’amore, della pace, della parola e del dialogo su un altro mondo, che si collega al nostro attraverso la croce e la morte.
La nostra fede non ci conforta con il fatto che non moriremo o con il pensiero che tutto sarà bello nella prossima vita. Ciò che ci redime è la ricerca della persona di Cristo nella nostra vita. Nella Chiesa e nella sua vita. I segni della nostra trasfigurazione sono quelle cose che hanno come fonte la nostra relazione con Cristo. Questo è amore che è una trascendenza dell’autosufficienza, poiché siamo chiamati ad abbandonare il nostro Tabor personale e scendere nel mondo, verso altre persone, e condividere la nostra gioia. Condividere la vittoria sulla morte, in particolare sulla morte spirituale, che è qualcosa che la nostra cultura vuole farci negare, come se fossimo conquistatori e conquistatori di questo mondo – fino a quando verrà il momento in cui il vuoto dell’essere mortali ci mostrerà che nessuno è invincibile. Fino a quando non saremo pronti a incontrare ognuno dei nostri vicini. Finché non avremo l’umiltà di conoscere i nostri limiti. Finché non saremo pronti a continuare la nostra vita, non con lo sfruttamento degli altri come nostro punto di riferimento, ma sulla base della preghiera e del servizio per loro. È il rifiuto di prendere parte al gioco delle minacce, delle violenze, degli omicidi e del trionfo a qualunque costo. In altre parole, è accompagnare spiritualmente Cristo nella Chiesa e fare esperienza del Vangelo.
Questo stile di vita richiede umiltà e consapevolezza. Ma richiede anche una conferma della gioia, che Cristo è presente e non ci abbandona. Lo confermiamo nella Chiesa, che ci cambia, non consolandoci di fronte a ciò che è inevitabile, ma facendoci assumere la nostra responsabilità per quello che possiamo, per quello a cui siamo stati chiamati. Tutti noi che limitiamo il nostro cambiamento alla mera moralità o al conforto di essere brave persone rimaniamo nel presente. Chi di noi confida in Cristo e attende la sua presenza, vivendo concretamente l’amore della Chiesa, non sarà lasciato solo. Cammineremo verso il suo regno, l’eterno incontro con l’amore e la risurrezione, con la santità che salva.
